Two Moons – Elements

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La discussione sterile in seno al concetto di ‘nuovo’ in musica, così ben descritta da Simon Reynolds nel suo ‘Retromania’, sta monopolizzando, a ragione, buona parte del processo evolutivo che la critica moderna ha intrapreso a partire dal nuovo millennio. Ovvio diremmo, anche se oggi probabilmente il discorso necessità di un cambio di vedute serio, non tanto nella sacrosanta ricerca dei padri, quanto nell’analisi del contesto. I famigerati piedi nel presente. Insomma, c’è un sacco di buona, innovativa e stimolante musica in giro: non aspettiamo decenni per accorgercene. Il nostro paese è in prima linea. Difficile, davvero difficile ignorare le produzioni nostrane rimanendo all’ombra qualunquista del “Past is always better” quando sul mercato proponiamo gente come Mombu o Aktion. Un’ondata Post-Punk che s’ingrossa a vista d’occhio, rivelando la nostra rinomata capacità d’interpretazione, a volte adiacente al concetto d’innovazione assoluta. Sventolato l’Italico tricolore, oggi vi parlo di una fantastica band Bolognese nata nel 2009 dalle menti di Emilio Mucciga, Giuseppe Taibi (MisterRips) e Vincenzo Brucculeri (Nils). Si fanno chiamare Two Moons.

Composizioni per la descrizione di un attimo, spesso dettate dalle suggestioni che madre natura ci sussurra. Figli di una Dark-Wave dalla quale rimangono sempre equidistanti, mai calligrafici: nutrono dapprima le proprie composizioni di funerea minuziosità gotica – Ricordiamo il primo “The First Moon”, Ep nel quale manifestano forte la propria fedeltà a Peter Murphy (Bauhaus) – per poi sciogliere la pece sulle lacrime di Robert Smith (Cure) con l’uscita del secondo lavoro “Colors” – Primo Full Lenght – .  Oggi, con “Elements” sembrano aver già effettuato il salto decisivo, quello giusto. Una splendida cover art disegnata da Paula Braconnot, funge da cicerone all’interno di una selva nella quale lasciar la propria anima libera in un creato a tinte malinconiche. Ascoltando l’interpretazione vocale di Emilio, viene immediatamente alla mente l’ultimo Bargeld (Blixa, Einsturzende Neubauten) emergere alle spalle del maestro Murphy  ‘Welcome To My Joy’, particolareggiandone un’esposizione ora identificabile, netta . Poi l’elettronica a là Bernard Sumner sale prepotentemente in cattedra ‘Rain’, facendosi prima glaciale ‘Autumn’ e poi sognante ‘Leaves’. Pezzi inquieti nati per sottolineare la caducità dell’essere umano, della propria natura tormentata ‘Crazy World’, capaci di scorgerne al contempo quell’atavico desiderio d’approfondimento interiore. Questo, con buona pace di chi non placherà la propria sete di contraddittorio, significa aggiornare un suono glorioso, attualizzarlo, renderlo capace di una vita scissa dai fasti del passato, quindi futuribile.

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