Giuliano Dottori: Assaporare l’attesa

Come tanti altri, hai deciso di fare da te e di scegliere l’autoproduzione. Come hai affrontato l’esperienza del crowdfunding? Sei stato da subito fiducioso del sostegno del tuo pubblico, o hai indugiato un po’?
Sono stato da subito molto fiducioso, ma consapevole del fatto che fare un crowdfunding significa spendere molte energie in termini di promozione diretta, social e non solo: bisogna darci dentro ogni santo giorno, perché le persone sono letteralmente bombardate di informazioni e spesso accade che ci possa perdere cose per cui si nutre un profondo interesse. La campagna mi ha confermato un grande affetto da parte del mio pubblico.

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Quanto hai messo dei tuoi modelli musicali in questo album (L’Arte della Guerra) e fino a dove hai sperimentato?
I miei modelli musicali sono filtrati, a volte in modo consapevole (penso a De Gregori nell’ultima traccia del disco o a Bon Iver nel brano strumentale), a volte in modo inconscio: ho sperimentato molto nelle parti strumentali e negli arrangiamenti di alcune canzoni, mentre su altri brani, quelli più pop ho fatto la cosa contraria, cioè ho cercato di asciugare molto le strutture e lavorare di lima sui testi.

Nella tua produzione sono presenti influenze di artisti della scena canadese e americana, cantautori quali Patrick Watson e Bon Iver, e gruppi come Grizzly Bear e Fleet Foxes. C’è anche qualche nome italiano in questo ventaglio?
Mi piace tantissimo quello che fa Rhò quando usa i loop di cori e mi piace moltissimo qualsiasi cosa venga dalla Sicilia, in particolare Dimartino e gli amici Pan Del Diavolo. Poi onestamente credo che la mia proposta sia più lontana, per certi versi forse più assimilabile a un certo cantautorato romano, che apprezzo molto.

Il disco è un piccolo microcosmo intriso di sentimenti e esperienze personali. C’è un sentimento che volevi restituire più degli altri?
Il senso dell’attesa e della spinta verso il futuro, sentimenti che un po’ mancano in questi anni in cui tutto ha la durata di una cicca alla menta. Penso in particolare alla mia generazione, non più ragazzi non ancora totalmente adulti, costretti chi più chi meno a confrontarsi con la precarietà, lavorativa e affettiva.

Questo album è solo la prima parte di un’idea più grande. Siamo di fronte a un concept o a uno zibaldone più variegato?
Credo che si possa parlare di un piccolo-grande concept: dal punto di vista testuale i contenuti del volume 2 sono in linea con questo primo disco. Si parla di tempo, di attesa, di rinascita, di passato e futuro, dell’inevitabilità del conflitto, di scoperta, di rinascita. Dal punto di vista musicale sarà invece più “concreto”, ci sarà meno spazio alle divagazioni musicali, sarà più diretto e asciutto, più folk, da un certo punto di vista.