Ben Frost @ TPO (Robot Paths #1) – Bologna

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Attitudine e visual:

Il Teatro Polivalente Occupato, ora ubicato in Via Casarini 17/4 a Bologna è in piedi in realtà dal 1995, e rappresenta lo spazio perfetto per questo tipo di eventi. Il Tpo è un artigiano intento a plasmare pratiche di diritti e di libertà, di comunicazione e cultura. Insomma, una grande sala, in buona parte gremita e capace di contenere fra le sue mura ‘ipotetiche’ – uno spazio indefinibile e non recintabile per concetto Ndr – le bordate elettroniche dell’artista Australiano.

Ben, si presenta sul palco dopo una lunga intro dai sentori distopici, avvolto da una coltre fumogena bianca. Barba da profeta e slancio punk. Coadiuvato dal proprio batterista, con il quale condivide la scena specularmente, suddivide lo spazio offerto in due parti separate da un’immaginaria linea verticale. In una, agisce lui in compagnia della sua tecnologia, mentre nell’altra è proprio lo strumento a percussione ad essere messo in primo piano. Tecnologia e dinamicità. sudore.

Audio:

Come dicevamo, lo spazio offerto dal TPO ben si presta all’avvenimento. La sala si sviluppa in profondità permettendo alle onde sonore del nostro, di interagire magnificamente e fisicamente con lo spettatore – a volte in un vero e proprio scontro fisico carne-suono, esaltando le peculiarità di AURORA, l’ultimo gioiello creato dall’artista: qui trovate la nostra recensione

Setlist:

Un magma di elettricità e passione si sviluppa ripercorrendo la tracce che compongono l’ultima uscita, non senza quelle divagazioni e cesellature che solo in sede live si posso verificare.

Momento migliore:

Il passaggio di ‘Nolan’.
Quasi preparato come un evento sacrale, fra riverberi e scosse, tribalismi futuristici e silenzi siderali, all’improvviso compare; tagliando la coltre di sentori immaginifici che già da qualche minuto vedeva lo spettatore impotente al cospetto delle più crude immagini Luciferine. Arriva, come un colpo ben assestato allo stomaco, come un lancio spaziale che non supera la stratosfera, rimanendo sospeso osservatore dello scempio terreno, sorretto nel suo planare dai caldi sbuffi di un inferno così come il cristianesimo se lo immagina. Furente e punitivo.

Pubblico:

La platea è variegata come succede nelle grandi occasioni; partecipa, nei momenti più avvincenti, rapita da quel mantra di sciabolate elettroniche stridenti, prendendo fiato ansiosamente durante i virtuosi intermezzi percussivi. Tutto orchestrato perchè il ritmo rimanga sempre forsennato, intenso, cardiaco.

Locura:

Non c’è spazio per l’ilarità a buon mercato all’interno del mondo edificato da Ben Frost.

Conclusioni:

Per chi vi scrive sicuramente un’esperienza forte, rinnovatrice. Un impianto sonoro calcolato per mantenere l’equilibrio all’interno del caos, per stupire e affascinare, per stordire. Sebbene lontani dalla classicità psichedelica di matrice chitarristica, si avvertono comunque quei ponti panoramici tanto cari al Bangs scrittore: qui elettrificati, incendiati e dotati di un rapporto paritario fra beatitudine e sofferenza. Proprio come la vita ci insegna.