Bedhead – What Fun Life Was

bedhead


Everyone deserves decency.

(The Unpredictable Landlord)

C’è stato un tempo in cui suonare voleva dire riscrivere costantemente il proprio elogio della timidezza. Voci soffocate, chitarre che crescono lentamente, quasi a chiedere il permesso di potersi sfogare, e bassi che ricalcano solchi profondi dove la batteria semina ritmicamente il veleno della pazienza. 

Il grunge rappresenta la rivolta a questi toni spenti: è come un grattacielo durante un terremoto. Tutto, in esso, vibra e balla in maniera sconnessa. Il grunge distrugge, sradica, non dà il tempo di guardare le cose nel loro avvenire: è un genere autolesionista in perenne corsa verso la sua fine. Lo slow-core, la giusta medicina a tale devianza, rappresentò, negli anni ’90, la risposta dei saggi o dei timorati a una visione sfuggente della musica: tutto si fece lento, interminabile. Perché s’è vero che a dominarci regna l’impermanenza, allora cerchiamo la ribellione nella nostra presenza ingombrante, incateniamoci e non lasciamoci portare via.

It was warm when you held me,

When you dropped down beside me.

But I saw your face turn to powder in a year.

(Powder)

È il 1994 e la musica ricerca la propria rumorosa quiete. Gli Slint pubblicano l’ultimo EP, da alcuni considerato l’apice della loro carriera. I maestri del post-rock si rifugiano poi nel silenzio per diversi anni, lasciando però la parola a testimoni di grande valore. A tracciare indelebilmente questa fase sono gli Smog con due delle loro opere più incisive: Julius Caesar (1993) e Wild Love (1995). Nell’arco di tempo intercorso tra questi due dischi nascono altrettanti gruppi che lentamente avrebbero segnato la storia del rock. Il 4 aprile 1994 esce, infatti, What Fun Life Was dei Bedhead e il 5 dicembre I Could Live in Hope dei Low, due esordi che difficilmente verranno mai dimenticati. Opere fondamentali – nonché maggiormente accessibili e ispirate rispetto al contemporaneo The White Birch dei Codeine – nelle quali ancora oggi ricerchiamo messaggi vitali. Andiamo in esplorazione di noi stessi, riusciamo a scendere nelle più buie profondità della coscienza, fino a quando nell’oscurità non ci scopriamo spaventosi e un urlo ci restituisce al sogno: questo è lo slow-core (come in una visione lynchiana).

That part of me makes no sense.

That part of me is my conscience.

(Haywire)

I Bedhead, dopo aver collaborato con la Direct Hit Records fra il 1992 e il 1993 iniziano la loro breve e nascosta carriera con l’eterea trilogia, uscita per la Trance Syndicate (la stessa dei Labradford per intenderci), della quale What Fun Life Was è solo il primo capitolo: seguiranno poi Beheaded (1996) e infine Transaction De Novo (1998). Con quest’ultimo disco la loro carriera giunge al termine per poi rinascere sporadicamente con progetti differenti e dal valore purtroppo minore: ovvero, da una parte i The New Year e dall’altra gli Overseas. Fatto sta che quanto creato dai fratelli Kadane a metà anni ’90 sarà qualcosa di irripetibile e che oggi lascia tracce evidenti nel nuovo indie-rock: Bedside Table è la canzone che i Death Cab For Cutie cercano di comporre da decenni.

What I was just reading about someone

deciding to quit speaking began to

dissolve into my lap as the words gave

up their attempts at meaning.

(Beside Table)

Quello che risulta evidente da questi testi qui citati è la sensazione di un centro mancante. E nella scrittura i Bedhead hanno avuto maggiore presa rispetto ai Low, drammatici ma non altrettanto epici. I primi hanno saputo aggrapparsi alla malinconia, tirandone fuori liriche incisive, controverse, incorporee, metaforiche. Lo scarafaggio con le gambe all’insù, del quale si racconta in To The Ground, ne è un grande esempio. Tutto il disco si gonfia di questo sguardo pietoso, il nostro sguardo che si immobilizza sull’insetto moribondo per poi rivoltarsi su noi stessi.

È questa vita a impietosirci. È il mondo. Che qualche preghiera non basta a redimere la nostra esistenza, che qualche sentimento non basta a giustificare la nostra presenza. Oscilliamo, come un ciondolo al vento, con il nostro sguardo rivolto verso il basso senza capire se Dio ci ha benedetti o se nostra madre ci ha definitivamente traditi quando ci ha cacciati dal suo corpo:

This is the kind of place you wouldn’t drag you mother into…

even though everyone’s mother brought everyone here.

(The Unpredictable Landlord)

E la musica? La musica diventa introspezione, diventa distacco; essa crea nuove realtà, ci posiziona al di fuori del mondo. È una nuova madre. Ma non sapremo mai suonare la Musica, e ogni nota è una rappresentazione luttuosa di un desiderio. I Bedhead sono i sacerdoti di questa messa lugubre, nel loro surreale punto d’incontro tra Mazzy Star e Pavement. I sette minuti di Powder sono un capolavoro che perfettamente si attaglia alla visione che la band di Dallas decide di proporci. Ora che siamo polvere lasciamoci portare via dal vento:

Wind. The wind

begin to ascend.

Reach for anything,

as the air has no end.

(Wind Down)