Qualcuno può dire che dopo la tempesta splenderà il sole. E non si dice che c’è la “quiete prima della tempesta”; questo è solo un modo un po’ pessimista di vivere la vita. L’ottimista è chi aspetta il sole e lo aspetta perché “è stato educato con la pioggia”. Fondamentalmente lo dicevano gli Oasis vent’anni fa, quando nell’aprile del 1995 “Some Might Say” viene rilasciato come primo singolo del futuro album “(What’s the Story ?) Morning Glory” schizzando al primo posto in classifica – ed è stata la prima di tante volte per i fratelli Gallagher. Replicheranno qualche mese dopo con il brano che forse li identificherà per tutto il resto della loro carriera: “Don’t Look Back in Anger”, un dannato inno pluri-generazionale scritto con quattro facili accordi.
Sì perché gli Oasis venivano dalla classe operaia della grigia Manchester e sognavano di scappare verso il sole, verso i sogni. Ecco perché prima cantavano “stanotte sono una rock ‘n’ roll star” in maniera un po’ ignorante, perché sicuramente non erano iscritti al politecnico come i Pink Floyd. I nostri ragazzotti sono un po’ burberi, grezzi, bevono un sacco e tifano le loro squadre di calcio preferite. Eppure riescono sempre a essere dritti e colpire al centro di qualsiasi bersaglio, senza giri di parole, perché non sono in grado di fare perifrasi.
In “Some might Say” troviamo ancora il primo batterista Tony McCarroll, licenziato ingiustamente (ha anche vinto la causa) perché non era più ritenuto abbastanza bravo, mentre in tutti gli altri pezzi c’è l’ormai storico Alan White.
La produzione cambia sostanzialmente all’interno della band e non da cause esterne. Alan McGee è ancora il loro produttore, ragiona sugli Oasis come fossero una delle sue meravigliose e disgregate creature – La Creation records, anche se non ci sarebbe bisogno di puntualizzarlo, ha lanciato fra gli altri: My Bloody Valentine, Ride, Felt, Slowdive e Swervedriver – e vorrebbe rilasciare il primo singolo contenente due brani nel lato A. Noel si oppone, perché il concetto di ascolto dei loro singoli deve essere quello di rimettere la puntina all’inizio del brano piuttosto che lasciarla andare.Lla label di McGee è famosa per rilasciare musica di qualità, ed ora deve aggiungere a questo anche una certa immediatezza.
Gli Oasis sono cresciuti in maniera esponenziale nel giro di un paio d’anni. La battaglia nel nome del britpop contro i Blur prosegue, ed entrambe le band vogliono rilasciare i rispettivi album lo stesso giorno – presi dalle loro manie di grandezza, mentre in tutto il mondo le loro faide occupano uno spazio nei telegiornali. I fratelli Gallagher rilasciano il secondo singolo, “Roll With It”, ballata spensierata dove i nostri inseriranno quei luoghi comuni che entreranno nella mente di qualsiasi giovane rockettaro:
“Non startene in disparte, non essere negato, devi essere quello che vuoi essere quando vieni con me… credo di aver perso un sentimento dentro di me… Bacia la ragazza, non sta mica dietro la porta; tu credi che io riconosca la tua faccia ma non ti ho mai visto in vita mia”.
Non c’è machismo, solo un raggio di sole che colpisce l’accenno di un sorriso – di entrambe le parti. Molto è cambiato da “Definitely Maybe”, piccola gemma grezza dal canovaccio incline alle produzioni “Creation”. Ora il suono è pieno, corposo, ben costruito: gioca sicuro attorno alla metrica del pop-rock. In “Morning Glory”, terzo singolo dell’album, le scie soniche vanno e vengono, richiamando qualche compagno di etichetta e strizzando l’occhio agli amici Verve; aumentandone velocità e divertimento – nonostante il testo sempliciotto parli di un tizio in hangover da cocaina.
Ottime le costruzioni chitarristiche, sempre più curate perfino nei brani meno famosi come “Hey Now”, dove la Gretsch di Noel si sfalda fra gli accordi. Ottimi gli intermezzi lisergici: l’incredibile e primaverile “She’s Electric” stuzzica l’ascoltatore con il suo testo bizzarro, utilizzando arpeggi che arrivano come pioggia fresca d’estate.
Sono ormai leggendari i riff durante il ritornello di “Champagne Supernova”: Noel Gallagher ci tiene a far apparire la concretezza del songwriting quando l’ascoltatore non se l’aspetta, o quando si sta facendo trascinare dalle dalle melodie più immediate . Mentre è disarmante facilità con la quale “Wonderwall” fa saltare il banco. Classico esempio di canzone da tre accordi che tutti avrebbero potuto scrivere: ma solo gli Oasis l’hanno fatto. Un titolo che non significa niente, e che forse prende il nome da un film di George Harrison, o da un lapsus di Lennon che così rispose alla domanda: come stai ? – “Wonderwall”, anziché “wonderful”. E poi c’è “Don’t Look Back in Anger“, altro nonsense che tanto fece discutere per via delle somiglianze con la leggendaria “Imagine” di John Lennon – e pensare a tutte le Sally del mondo, anche se in verità non è esistita nessuna Sally, neanche per Noel.
Non c’è molto da dire in realtà su questi ultimi due brani: tutto il mondo li conosce, anche se non ha mai ascoltato direttamente la band, o addirittura li odia. In quanti di voi ci hanno pianto ? In quanti si sono innamorati ? Quante volte avete fatto l’amore con questa colonna sonora (“la rivoluzione comincia dal letto”, cit.)? Quante volte li avete riascoltati sorridendo e ripensando ai tempi che furono? Maledetti stornelli per cuori cuciti e ricuciti. Stornelli che hanno costituito la colonna sonora della nostra giovinezza, della nostra adolescenza, che ci hanno fatto idealizzare chissà chi, ci hanno fatto sprofondare nel meraviglioso abisso dell’amore che, col senno di poi, magari si è rivelato nient’altro di più che una pozzanghera nella quale siamo stati gettati. Proprio dagli Oasis:
“Please don’t put your life in the hands of a rock ‘n’ roll band: who’ll throw it all away”.