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18/071998 | fearless records | atdi.com |
Siamo nel 1998. Anno di Grazia per via di tante cose, che adesso non ricordo. Però una la possiamo citare. Il 1998 è infatti l’anno in cui viene pubblicato “In/Casino/Out” degli At the Drive-In. Chi sono gli At the Drive-In? Sono cinque ragazzi, almeno all’epoca, provenienti da El Paso. Avete presente, no? Quella città texana al confine con il Messico che spesso si vede nei film americani, quelli che parlano di fuorilegge, di cartelli della droga, di frontiere da oltrepassare con la speranza di non finire ammazzati. Uno su tutti? “Getaway!” di Sam Peckinpah.
Va detto che la storia discografica degli ATDI non comincia certo qui, ma è qui che troviamo per la prima volta la band al completo, quella band che verrà immortalata in seguito nei videoclip di “One Armed Scissor” e di “Invalid Litter Dept.”: Cedric Bixler-Zavala alla voce, Omar Rodriguez-Lopez alla chitarra, Jim Ward chitarra e seconda voce, Paul Hinojos al basso, Tony Hajjar alla batteria. C’è sangue misto, nelle loro vene. E c’è sangue misto nella loro musica. “Latin Roots”, direbbero i Fugazi di “Steady Diet of Nothing”. Ma non solo.
L’album prosegue la tradizione dei titoli di ambito astronomico, inaugurata per l’appunto con “Red Planet”, nel primo E.P “Hell Paso”, portata avanti poi con “Star Slight”, traccia che apre il precedente “Acrobatic Tenement”. Qui in apertura troviamo “Alpha Centauri”, mentre “Proxima Centauri” ed “Ursa Minor” ci attenderanno nel successivo “Vaya”, l’E.P di transizione prima del grande successo di “Relationship of Command”. Del resto, in un vero Drive-In che si rispetti, una sbirciata al cielo stellato, dalla propria decappottabile, la si deve pur dare.
Si innalza decisamente il livello qualitativo rispetto allo scombinato, pauperistico, esordio sulla lunga distanza, tuttavia impreziosito da brani avvincenti come “Ebroglio” o la già menzionata “Star Slight”. E questa di certo è una costante della curiosa carriera degli At The Drive-In, e più in generale di Omar & Cedric, che poi daranno vita ai The Mars Volta, ai De Facto, agli Antemasque, et cetera et cetera: il continuo innalzamento dello standard, album dopo album. Qualcuno avrebbe mai detto, infatti, che i pischelletti di “Paid Vacation Time”, sempre da “Acrobatic Tenement”, in cui per inciso Omar suonava il basso, un giorno, nemmeno troppo lontano, si sarebbero presentati al mondo, complici anche le maggiori risorse economiche di ben altre produzioni, con brani come “Arc Arsenal” o “Cosmonaut”? Detto ciò, il salto di qualità è già evidente in questo “In/Casino/Out”.
Un’altra costante degli At the Drive-In, e ancora una volta dei due dioscuri dalle chiome afro, è il tema della morte. È un soffio che alita ovunque, nel loro repertorio. C’è anche qui. E sono note assai dolenti. Il riferimento è a “Napoleon Solo”, una poesia post-hardcore dedicata alla scomparsa, avvenuta per un tragico incidente stradale, di Sarah Reiser e Laura Beard, intime sodali di Cedric e compagne d’avventura nella band The Fall on Deaf Ears. Il brano, uno dei cavalli di battaglia del gruppo, è quanto di più simile a una pop-song (in senso lato, sarebbe meglio parlare di post-grunge) si possa trovare nel repertorio del quintetto texano. Quasi una “Zombie” dei The Cranberries prodotta e registrata senza badare alle sovrastrutture, in base ai dettami fugaziani.
Poche, pochissime le cadute di tono. Praticamente assenti. La cinquina iniziale, che infila una dopo l’altra “Alpha Centauri”, “Chanbara”, “Hulahoop Wounds”, “Napoleon Solo” e “Pickpocket”, rappresenta già un campionario sufficiente delle abilità, dei talenti, della versatilità di questa giovane band: “We’re really proud of working with such a young and creative combo”. Dirà poi Mike D dei Beastie Boys, presidente della Grand Royal, ai tempi di “Relationship of Command”.
“Tutto quello che fanno gli ATDI lo ha fatto prima qualcun altro, e lo ha fatto meglio”. Si è lasciato sfuggire Cedric, una volta, durante un’intervista. E perché mai? Perché i Fugazi, ovvio. Perché i Mission of Burma, e a proposito andatevi a riascoltare “Academy Fight Song”. Perché i Drive Like Jehu e gli Hot Snakes. Perché i Cap’n Jazz. Perché i Sunny Day Real Estate. Ma non sarei così tranchant. Direi anzi che tutto quello che hanno fatto gli ATDI era già stato fatto prima, ma con meno droga in corpo, forse, e con meno voglia di spaccare il culo al mondo, quasi sicuramente. Facendo un paragone con le sigarette, potremmo dire che tutto ciò che nei suddetti gruppi era Marlboro Gold, con gli At The Drive-in diventa Marlboro Rossa Formato Centos.
Lo spoken-word alternato a fugaci(fugazi) accenni di melodia, che spesso ritroviamo nel genere, negli ATDI diventa un rap frenetico, che trova poi sbocco, quasi sempre, in indimenticabili momenti “sing-along”. Tu chiamalo, se vuoi, crossover. La salsa cubana cosparge il tribalismo percussivo tipico di certo dark incline al voodoo, vedi alla voce “Siouxsie & The Banshees”, di cui non a caso i The Mars Volta, periodo “The Bedlam in Goliath”, coverizzeranno la superba “Pulled To Bits”. In definitiva, potremmo dire che negli ATDI riscontriamo tutti gli elementi de-strutturanti del post-hardcore, ma in una forma-canzone che di de-strutturato, in apparenza, sembra avere poco o nulla. Perché con gli ATDI, e con Omar & Cedric, lo hanno dimostrato anche gli Antemasque, alla fine è l’istinto ad avere la meglio sulla ragione.
Ultime annotazioni: in “Shaking Hand Incision” la band fa le prove generali di “Arc Arsenal”, ma il modello di riferimento è “Seven” dei Sunny Day Real Estate, tratta dal loro capolavoro “Diary”. “Hourglass” è una piano-ballad che vede alla voce principale Jim Ward, che nelle strofe si lascia andare ad alcuni simpatici “corganismi”. I testi di Cedric, esclusa la struggente “Napoleon Solo”, sono al solito criptici e pressoché incomprensibili. A tal proposito ricordiamo le parole di Omar: “Nessuno sa di cosa parlano i testi. Solo Cedric lo sa”. Agli amanti delle chicche piacerà sapere che le liriche di “Chanbara” contengono al loro interno il nome del futuro side-project di Omar, Cedric, e dei defunti (la morte, sempre lei) Jeremy Michael Ward e Isaiah “Ikey” Owens: i De Facto. Il punto debole del disco, invece? Il suo tallone d’Achille? Poco tempo dopo è uscito “Relationship of Command”. Tutto qui.