Alejandro Jodorowsky: l’immaginazione come terapia

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“Tentai di materializzare l’astratto.
L’odio: cornucopia chiusa in un forziere di cui abbiamo perduto la chiave.
L’amore: strada dove le nostre impronte invece di seguirci ci precedono.
La poesia: escremento luminoso di un rospo che ha inghiottito una lucciola.
Il tradimento: persona priva di pelle che si muove saltellando da una pelle all’altra.
La gioia: fiume pieno di ippopotami che spalancano le fauci azzurrine per offrire i diamanti che hanno trovato scavando nel fango.
La fiducia: danza senza ombrello sotto una pioggia di pugnali.
La libertà: orizzonte che si stacca dall’oceano per volare formando labirinti.
La certezza: una foglia solitaria divenuta il rifugio di un bosco.
La tenerezza: vergine vestita di luce che cova un uovo violaceo.”
Dal libro “La danza della realtà

In questa puntata di Ida Sta A Mille! perlustriamo il complesso e surreale mondo di Alejandro Jodorowsky, analizzando i suoi film e i suoi atti psicomagici attraverso gli occhi della protagonista Leandra.

L’immaginazione come terapia, l’arte come guarigione, come gradino più alto di conoscenza del Sè, come espediente più sublime per scardinare i limiti imposti dal razionale e raggiungere una comprensione superiore della propria esistenza. Questa è la Psicomagia ideata da Alejandro Jodorowsky in poche parole:

“Questo è un linguaggio che l’inconscio è in grado di comprendere. Nella psicoanalisi tradizionale non si fa altro che tentare di decifrare e interpretare con il linguaggio corrente i messaggi inviati dall’inconscio. Io agisco al contrario: invio messaggi all’inconscio utilizzando il linguaggio simbolico che gli è proprio. Nella psicomagia spetta all’inconscio decifrare l’informazione trasmessa dal cosciente”(1)

In questa puntata Leandra si addentrerà tra le spire surrealiste della sua cinematografia, tra le selve emotive di questa sua forma d’arte psicomagica, cercando di guardare la realtà da un punto di vista altro, con un occhio sempre rivolto ai luoghi più inesplorati dell’inconscio che, come lo stesso Jodorowksy afferma: “non è scientifico, ma artistico”.

Fluttuare tra i pensieri, a metà strada tra realtà tangibile e percezione falsata delle idee, senza distinguerne i contorni: Leandra spesso si sente in questa sorta di limbo, mentre il quotidiano si evolve ora dopo ora. Il più delle volte si affida ai Tarocchi per cercare di soverchiare i suoi archetipi interiori, per avvicinarsi all’altro e al suo stesso inconscio, per avere una guida in grado di offrire una parola magica confortante, mentre ripensa alle parole di Jodorowsky:

“Per mezzo secolo, i Tarocchi sono stati la mia amante, la mia guida, la mia struttura…(2) Nei tarocchi ci sono ventidue arcani maggiori. Ciascuno dei ventidue arcani dei Tarocchi marsigliesi è disegnato all’interno di un rettangolo composto da due quadrati. Il quadrato superiore può simboleggiare il cielo, la vita spirituale, mentre quello inferiore la terra, la vita materiale. Al centro del rettangolo s’iscrive un terzo quadrato che simboleggia l’essere umano, unione tra la luce e l’ombra, ricettivo verso l’alto, attivo verso la terra”(3)

Un giorno Leandra si rende però conto che ha bisogno di un gesto forte, di un atto costruttivo e positivo che le consenta di andare oltre se stessa, il suo passato e i suoi ostacoli genealogici (4). Decide così di esplorare la totalità del suo essere e delle cose spingendosi verso un gesto “anarchico” , molto vicino agli intenti del Movimento Panico (5), verso visioni dall’animo surrealista, superando così definitivamente la barriera di cesura logica della sua coscienza. Dopo aver incontrato una guaritrice di nome Paquita (6) ed essere stata ammaliata dalle sue suggestioni, decide di intraprendere la strada della Psicomagia di Jodorowksy. I gesti privi di logica ma pregni di impatto emotivo, quelli che Jodorowsky chiama atti effimeri, nella mente di Leandra assumo pian piano il sapore delle sue stesse pellicole, di istanti rubati al cinema e capaci di spezzare la sua quotidianità. Per lei le cinque tappe di questa forma artistica di psicoterapia si tramutano in sogni lucidi di una vita che, per agire nella realtà, deve divenire “Atto filmico” metafora del suo inconscio da annullare per “guarire “dalle costrizioni e per vedere spontaneamente un oltre precluso attraverso la sperimentazione personale, materializzando l’astratto.

1 Da Psicomagia – Una Terapia Panica
2 Da La Via Dei Tarocchi
3 Da La Danza della realtà
4 La psicomagia parte da una riflessione sulla rilevanza delle influenze esercitate dall’infanzia e quindi dalla propria famiglia sul proprio modo di vivere la vita, pertanto per guarire occorre, grazie alla psicogenealogia, rimuovere l’“ostacolo genealogico”: “Se la famiglia che vive dentro di noi ancorata alla memoria infantile è alla base del nostro inconscio, allora dobbiamo far evolvere ogni nostro parente trasformandolo in un archetipo. Dobbiamo innalzarlo al nostro livello di coscienza, dobbiamo esaltarlo, immaginarlo nell’atto di dare il meglio di sé stesso. Tutto ciò che diamo a lui lo diamo a noi. Ciò che gli neghiamo, lo neghiamo a noi”.
5 Movimento Panico (Mouvement Panique) è un collettivo artistico formato da Fernando Arrabal, Alejandro Jodorowsky e Roland Topor a Parigi nel 1962. Il movimento, di ispirazione post- surrealista, prendeva il nome dal dio Pan e fu influenzato da Luis Buñuel e dal “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Gli eventi teatrali del movimento erano progettati per essere scioccanti e violenti e miravano a liberare le energie distruttive in cerca di pace e bellezza proprio partendo dall’idea di surrealismo come linguaggio artistico che utilizza simboli inconsci capaci di produrre una suggestione profonda e persistente in chi osserva l’opera.
6 Alejandro Jodorowsky negli anni Sessanta entra in contatto con una guaritrice messicana, Paquita. Vede in lei un modo di agire analogo a quello surrealista. I metodi che utilizza per guarire i suoi pazienti non hanno nessun valore dal punto di vista della medicina tradizionale, ma la forza di suggestione che li pervade è tale da portare spesso il paziente a reagire e a intraprendere egli stesso la strada per una guarigione o per un’accettazione serena della malattia. Dopo questo incontro Jodorowsky, profondamente affascinato dai metodi di cura di Paquita così fittizi eppure così psicologicamente appaganti e necessari, elabora la Psicomagia.

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Atto poetico
Leandra inizia ad ascoltare e interrogare il suo labirinto emotivo, senza interpretare, lasciandosi trasportare da visioni sospese, abbandonandosi alla profondità delle sue esperienze e camminando ad occhi chiusi “sempre in linea retta senza preoccuparsi degli ostacoli, agendo come se non esistessero(7) . Mentre le immagini in bianco e nero de “Il Paese Incantato” (8) scorrono sulla parete bianca di un video proiettore immaginario, vuole scavalcare i suoi muri interiori e creare il suo Atto poetico (9) , generare una realtà altra in seno a quella ordinaria, realizzare un gesto simbolico per frantumare volutamente degli schemi.

Il miraggio di una felicità lontana si materializza nella ricerca di un oltre astratto chiamato Tar, attraversando tundre di macerie e rovine, rupi di un passato che valica l’evoluzione del presente. È un viaggio insostenibile il suo, circolare, che sembra ricondurre a uno stesso luogo (10), mentre una ragazza distesa desina un fiore e diviene burattino di una prigione fatta di allucinazioni, bambola di purezza infantile e umanità violata (11). Leandra continua ugualmente a inseguire le sue chimere, scortata da due anime bambine, Fando e Lis. Se Fando palesa le sue debolezze affermando: “Io non so proprio perché lotto e se lo sapessi non so se avrei la forza di vincere(12), scoraggiandola, è Lis a darle la forza di continuare. “Se Tar non esiste vuol dire che lo inventeremo noi(13) dice. L’esplorazione di Leandra è un bisogno estremo che deve procedere nonostante tutto, speranza di un’evasione dal dolore e dalla realtà stessa ed è necessario solcare gli abissi della sua psiche, divorando nel vuoto eterno la stessa difficoltà di una ricerca infinita. Per andare avanti si lascia trasportare dalla poesia dell’incanto del momento, un miracolo che, nonostante tutto, sarebbe riuscito a cambiare la sua visione del mondo.

7 Da Psicomagia: Una terapia panica
8Il paese incantato” è il primo lungometraggio di Jodorowsky, liberamente tratto dalla pièce teatrale del 1964 dello spagnolo Fernando Arrabal e narra la storia di due innamorati, Fando e Lis, che si mettono in viaggio alla ricerca di Tar, il “paese incantato”. Il film viene inteso idealmente come inizio di un percorso, il punto di partenza da cui partire per poi andare oltre.
9 L’atto poetico è il primo dei cinque atti psicomagici codificati da Jodorowsky. “L’atto Poetico” è la prima grande esperienza che porta lo stesso Jodorowsky a consacrare la propria vita alla poesia, portandolo a trasformare ogni azione in un gesto simbolico che mira alla rottura degli schemi. Ispirati al motto futurista “la poesia è azione” di Marinetti, questi gesti volevano “evidenziare il lato imprevedibile del mondo reale, contrario al rigido mondo dei nostri genitori”. Un atto poetico crea infatti “un’altra realtà in seno alla realtà ordinaria” però non deve mai arrecare danno alle persone, anzi “deve provocare un’impressione sempre positiva”. La poesia d’azione, o atto poetico, conduce letteralmente a fare cose di natura stravagante, come ad esempio camminare in linea retta per attraversare il paese senza mai deviare dalla propria strada.
10 Anche nel film i due protagonisti sembrano vivere in una sorta di labirinto ritrovandosi sempre al punto di partenza
11 Immagini del film che si mescolano a una interpretazione dello stesso
12 Frase del film
13 ibidem

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Atto Teatrale
La poesia ora più che mai doveva tramutarsi in azione, doveva essere rappresentata in forma strutturata per aprirsi all’altro, a un ipotetico pubblico con tutta la sua forza surreale ed eversiva (14).

Il suo teatro d’avanguardia, il suo palcoscenico immaginario diviene così una sfera magica che proietta ombre su un deserto senza nome (15) in cui un pistolero di nome El Topo (16) esorta un bambino nudo a seppellire nella sabbia il suo primo giocattolo, insieme a una foto di sua madre dicendo: “Hai sette anni, sei un uomo(17). In lei esplodono sensazioni contrastanti, che sembrano imprigionare il suo cuore tra fotogrammi di mani che scavano la terra (18). Una voce fuori campo intanto dice: “La talpa (El topo) è un animale che scava gallerie sottoterra, in cerca del sole, a volte la strada lo porta in superficie. Quando vede il sole diventa cieco(19) , ma Leandra vuole trovare la via della luce, anche a costo di vivere nel buio per sempre, scandagliando il senso più primordiale della vita, lasciandosi trasportare da tutti e cinque i sensi.

Nella traversata interiore tra le dune sabbiose dell’esistenza, Leandra incontra violenza, inganno e morte. Scorge poi una donna di nome Mara (20), che convince El Topo a sconfiggere i Quattro Maestri del deserto (21) come pegno d’amore. Come un occhio che incornicia il triangolo del destino (22), Leandra comprende che, proprio come per El Topo, è arrivato il tempo di una realizzazione spirituale forte, di morire per rinascere e vedere tutto in maniera differente, entrare nella sua caverna interiore, disintegrare l’Ego per poi risalire in superficie e approfondire la sintesi suprema del vero con le palpebre spalancate di fronte a ogni cosa.

Come d’incanto il subconscio di Leandra si trasforma e vive di allucinazioni. È come un albero sul quale è posato un uomo nudo con gli occhi attoniti sul passato e una doppia croce di Sant’Andrea che grava sul futuro. È un volto macchiato di sangue pronto a sgorgare ancora, un elefante sventrato, un corpo da circo mutilato, una voce bambina senza parole bloccata in un manicomio assieme ai fantasmi di un inconscio da frantumare. É la catarsi; è un rapace tatuato sul petto che vola libero nella dimensione del sogno (23).

Atto onirico (24)
I sogni nei quali Leandra vuole immergersi non vanno spiegati ma semplicemente vissuti. Lei sa benissimo che bisogna essere coscienti, rimanere lucidi, perlustrare ma con distacco, agire senza immedesimazione. Nel suo peregrinare attento tra le profondità nascoste del suo sogno lucido, viene catapultata tra i colori e le suggestioni indiane (25), e poi all’interno di una fiaba dai contorni sfocati, immersa in una cloaca oscura tra tarocchi e alchimie varie, acque che scorrono in diluvi universali atti a purificare l’anima (26).

17 Frase del film
18 Ibidem
19 Ibidem
20El Topo” è un film che ingloba anche alcuni riferimenti alla cultura giudaico-cristiana. Mosè è il primo riferimento che viene fra l’altro verbalizzato. El Topo stesso incarna un cristo sui-generis e il sangue che scorre è come ideale inchiostro sulle sacre scritture. C’è inoltre un chiaro rimando anche alle tentazioni di Cristo nel deserto, quest’ultimo inteso anche come metafora del percorso interiore del protagonista. Nella parte iniziale del film il quartier generale dei banditi si trova all’interno di un monastero francescano, preso in ostaggio da un colonnello che assumerà le sembianze “papali” durante l’evolversi di alcune scene. È presente anche il rito-mito della trasgressione che, come in molte culture e ad esempio quello di Eva e del serpente, viene verbalizzato dalla donna. E ad assumere questa funzione è infatti nel film la donna di El Topo, Mara, che nel frattempo è stata battezzata simbolicamente e alla quale l’uomo ha dato il nome di “Acqua amara”, dall’acqua di uno stagno dove si fermano a bere. In un’altra scena la donna gli sussurra che non lo ama poiché lui ancora non gli ha dato una prova d’amore. Questa prova deve consistere nell’uccisione di altri quattro pistoleri, i più forti pistoleri del deserto, i quattro maestri.
21 La donna come tentazione, i quattro maestri di pistola come apostoli. Essi rappresentano simbolicamente la parte inconscia di El Topo e la sua lotta per la realizzazione spirituale e interiore. I Maestri sono Quattro: il Maestro Cieco, il Maestro dalle Mani Divine, il Maestro dei Cento Conigli, il Maestro Eremita. Essi però non possono illuminare o salvare fino in fondo. Tutti inoltre sono circondati da un recinto che si supera senza fatica, ma al cui interno si genera solo morte. La Torre Bianca del Maestro Cieco crollerà, l’Isola di Sabbia del Maestro dalle Mani Divine se la mangerà l’acqua, il recinto del Maestro dei Cento Conigli prenderà fuoco, e il Deserto senza Fine del Maestro Eremita sparirà nel vento. Allo stesso modo il duello, che dovrebbe permettere, tramite la morte sacrificale, l’avvento del mistero, non si rivela che un inganno perché El Topo non svelerà nessun mistero se non la consapevolezza del proprio essere.
22 L’immagine dell’occhio racchiuso all’interno di un triangolo, l’Occhio della Provvidenza, l’occhio Alchemico e figura importante per diverse filosofie del Mondo è spesso presente nei film di Jodorowsky e anche in “El topo”. La città che rappresenta “la luce”, che rende cieca la talpa risalita in superficie e che è dominata da una classe borghese dai connotati mostruosi e abnormi, che va in chiesa a pregare rimanendo però assoggettata a ritualismi fini a sé stessi, ha questo simbolo che tappezza le strade, l’interno degli edifici, ogni cosa.
23 Interpretazione per immagini e contenuti del film sanguinoso, splatter e visionario, “Santa Sangre”. Jodorowsky disse che “Santa Sangre” era il preferito dei suoi film perché parlava di sentimenti, non di idee, e secondo le sue intenzioni, voleva che il film portasse i suoi spettatori a sentirsi come il ragazzo della storia, Fenix, che si trova ad assistere a cose molto più atroci di quelle che può veramente gestire. Come disse Jodorowsky, “Non c’è nessuna lettura intellettuale NEL film…va direttamente al subconscio.” Il film è il quarto lungometraggio di Jodorowsky, scritto assieme a Claudio Argento e Roberto Leoni, e musicato da Simon Boswell, ai tempi già noto compositore di colonne sonore per Lamberto Bava e Dario Argento. A differenza dei precedenti “El Topo” e “La Montagna Sacra”, in cui Jodorowsky aveva supervisionato la stesura dei brani, la colonna sonora di “Santa Sangre” è affidata interamente a Simon Boswell, messo in contatto col regista tramite Dario Argento. “Santa Sangre” è un viaggio di sangue, amore e morte nella follia di un uomo che si ritrova suo malgrado vittima di un ingranaggio crudele e beffardo. Il film può considerarsi idealmente diviso in due tronconi. Nella prima parte conosciamo Fenix che all’inizio si trova nudo su un albero e poi, tramite flashback, lo vediamo trascorrere un’infelice infanzia nel circo del padre Orgo e della madre Concha, una trapezista che si esibisce sospesa nell’aria, trattenuta solo dai suoi capelli. È anche una fanatica religiosa, capo di un culto che adora una santa senza braccia, i cui arti superiori erano stati tagliati da due uomini che l’avevano assalita e violentata. Il simbolo del culto è un’immagine di due braccia tagliate, messe una sull’altra, a forma di doppia croce di sant’Andrea. Il sangue di questa santa è chiamato Santa Sangre, sangue santo, ed è conservato in una piscina in una chiesa. Orgo inoltre pensa che, per iniziare il viaggio nell’età adulta, il figlio Fenix debba avere un tatuaggio e così incide brutalmente un aquila sul suo petto. L’unica amica del bambino è la coetanea Alma, mima sordomuta, figliastra di un’altra attrazione del circo, una donna interamente tatuata. Proprio quest’ultima seduce Orgo, portando la moglie dell’uomo a reagire violentemente. Concha infatti versa dell’acido sul marito che, prima di morire, amputa alla donna gli arti superiori. Fenix assiste alla scena. Questo shock dell’infanzia ha portato Fenix alla pazzia, infatti si trova in manicomio. Un giorno sua madre ritorna all’improvviso spingendolo alla fuga. Nella seconda parte, Fenix adulto fugge dal manicomio e inizia a compiere una serie di orrendi delitti sotto l’influenza del fantasma mutilato della madre. Nella pellicola forte è anche il “dramma edipico”, l’idea di schiavitù emotiva e fisica di un figlio nei confronti della madre attraverso la simbologia delle braccia sottomesse e poi libere, che prima danno sangue e poi diventano ali. Anche in questa pellicola ricorre poi il tema dell’ossessione religiosa, unito a una spiccata attitudine anti-borghese. Tra le scene cult sicuramente c’è quella del funerale di un elefante il cui cadavere viene smembrato da bambini affamati.

24 Nell’Atto onirico, che in un certo senso fonde insieme le teorie di Castaneda e quelle di Jung, interpretare il sogno non vuol dire spiegarlo ma, come lo stesso Jodorowsky afferma: “continuare a viverlo in uno stato di veglia per capire dove ci porta”. La fase successiva, che supera ogni tipo di interpretazione, consiste nell’entrare nel sogno lucido, in cui si è coscienti del fatto che si sta sognando, e questa consapevolezza ci dà la possibilità di lavorare sul contenuto del sogno … nella vita come nel sogno, per rimanere lucidi bisogna prendere le distanze, agire senza identificarsi con l’azione…Ciò che ci intimorisce perde qualsiasi potere nel momento in cui spettiamo di combatterlo.” Tusk” e “Il ladro dell’arcobaleno”, altri film di Jodorowsky forse minori all’interno della sua filmografia ma non privi di intensità e magia, fungono semplicemente da contorno ai Sogni lucidi di Leandra nel vivere il suo Atto Onirico.
25 Velati richiami a Tusk, che è un film tratto da un romanzo di Reginald Campbell. La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dal regista con l’autore del libro, Nicholas Niciphot e Jeffrey O’Kelly, e racconta la storia di una giovane ragazza inglese e di un elefante indiano, che condividono un destino comune. Non mancano rimandi alle opere precedenti come il bagno degli elefanti, che sembra richiamare quello di “Santa Sangre”.
26 Ne “Il ladro dell’arcobaleno” il ladruncolo Dima (Omar Sharif) vive con il criminale Meleagre (Peter O’Toole), un personaggio che alloggia in una stanza adibita a laboratorio alchemico ricavata nei cunicoli nella rete fognaria. Compagno di Meleagre è il suo cane Chronos, o meglio la sua spoglia imbalsamata, che prende vita grazie alle doti di ventriloquo del suo padrone. Dima procura il cibo e quanto occorre alla sopravvivenza di sé e del suo padrone mediante piccoli furti, nell’attesa di quell’immensa fortuna in oro che Meleagre gli ha promesso, essendo questi nipote ed erede di un eccentrico milionario in coma (Christopher Lee) .L’eredità andrà però a delle prostitute di un bordello, a condizione che queste si prendano cura dei suoi cani, rimasti orfani. Dima reagisce lasciando Meleagre e salendo su un treno che porta in salvo gli abitanti della città, colpita da un violento nubifragio. Ma all’ultimo momento, quando il treno è in movimento, l’immagine dell’amico in pericolo spinge Dima a correre in suo aiuto. Lo troverà adagiato sul proprio letto, con in mano il suo mazzo di tarocchi. In questa sorta di commedia dell’assurdo, di grande impatto resta la scena della catastrofica alluvione con il suo significato latente: quello della potenza dell’acqua purificatrice che viene a spazzare via una tempesta interiore.

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Atto magico (27)
Arrivata quasi alla fine del suo percorso psicomagico, Leandra comprende che è arrivato il momento di affidarsi al suo inconscio, di ascoltare la forza primitiva del suo linguaggio, divenendo sciamana di se stessa. Sarà proprio lei a trasformare il sogno in magia, a divenire strega della parola, maga dell’immagine e dei suoi stessi desideri, modellandoli al punto tale da provocarne la realizzazione.

Ora il suo cammino passa attraverso le spoglie di un ladro simile a Cristo, di un corpo ancora legato alla Natura con un fiore nel palmo della mano, mentre la sua macchina da presa personale si focalizza su una carta dei Tarocchi, il Matto (28), monito che l’aiuta a focalizzare il momento per uscire fuori dal campo razionale delle idee.

Attraverso le vicende di quest’uomo, Leandra attuerà la sua trasformazione alchemica, che la porterà altrove, dentro e fuori di sé, verso l’immortalità. Tramite lui affronterà imprese ardue, varcherà luoghi ameni e sconosciuti, facendo volare il suo ego primitivo come tanti palloncini leggeri in viaggio verso la conoscenza (29).

Il ladro spinge i pensieri di Leandra all’interno di una torre (30) altissima in cui c’è un alchimista a volte vestito di bianco e a volte di nero, sorta di proiezione dell’yin e dello yang duale della sua esistenza, che dice: “Non sei che merda, puoi cambiare te stesso in oro(31). Dopo un profondo processo di purificazione dei chakra, il Maestro dona a Leandra, ormai quasi reincarnata nel suo tramite, quattro oggetti: un bastone, una spada, una coppa e un medaglione d’oro (32). L’alchimista attua poi su di lei la vera iniziazione, trasformando i suoi escrementi in oro e poi invogliandola a frantumare la sua coscienza trasparente, rompendo una pietra di forma triangolare posta su di una base cubica dalla quale verrà rivelato il blu dell’anima (33).

Infine viene introdotta al cospetto di altri sette discepoli nella stanza dell’Enneagramma della personalità, che sembrano richiamare i sette pianeti del Sistema Solare (34). Davanti ai suoi occhi le debolezze di questi personaggi vengono analizzate ed eliminate al fine di scoprire i segreti più profondi della spiritualità mentre una voce che dice: “La gente non vuol essere amata per quello che è, ma per quello che sembra(35) si allontana sempre di più divenendo invisibile alle orecchie.

Solo dopo avere abbandonato il piano materiale e bruciato l’aspetto materico della realtà, giunge per Leandra il tempo di scalare la sua montagna sacra (36) al fine di effettuare una reale catarsi dell’Io. La scalata, con l’aiuto dell’Alchimista, può finalmente iniziare, oltrepassando i limiti imposti dalla corporalità individuale, rinnegando le convinzioni errate che gli erano state imposte e che si erano impossessate della sua mente.

27 Con l’atto magico Jodorowsky si è chiesto chi “fosse l’artista benefico, il mago buono, capace di creare opere d’arte dotate di forze così positive da indurre l’osservatore all’estasi”. “Nella psicomagia spetta all’inconscio decifrare l’informazione trasmessa dal cosciente”; “E se ti rivolgi all’inconscio con il suo linguaggio, ti risponderà subito” in quanto “in ogni adulto, perfino in quello più sicuro di sé, dorme un bambino desideroso d’amore, e che il contatto fisico è più efficace di qualsiasi parola per stabilire una relazione di fiducia e rendere il soggetto disponibile a ricevere”. Se a questo aggiungiamo che quando uno stregone “finge un’operazione, il corpo umano reagisce come se fosse sottoposto ad un intervento autentico” ci avviciniamo a comprendere le basi psicologiche su cui si fonda l’efficacia della magia. Il segreto degli sciamani è quello di sapere “come rivolgersi direttamente all’inconscio tramite il suo linguaggio, (…) attraverso le parole, gli oggetti o le azioni.” “In tutte le culture si ritrova il concetto della forza della parola, la convinzione che l’espressione di un desiderio in una determinata forma possa provocarne la realizzazione”.
28 Dopo aver incontrato nel 1998 a Parigi Philippe Camoin, discendente diretto della famiglia Camoin, e ultimo tipografo marsigliese del Tarocco di Marsiglia, Jodorowsky ne attuò il restauro delle Lame restituendo la simbologia alchemica originaria. Un lavoro che lo portò ad affermare: “Con l’aiuto di fatti segreti che riguardano la loro storia, la loro fabbricazione, la loro tradizione, il loro simbolismo e con l’aiuto di stampi originali, noi siamo stati i soli a poter restaurare i Tarocchi di Marsiglia originali”. Il restauro che ci consegna i Tarocchi così come li conosciamo oggi, toccò oltre che alcuni simboli anche e soprattutto i colori che, negli anni 1860 – 1880, l’antenato di Camoin, ultimo mastro cartaio di Marsiglia, era stato costretto a inventare per adattarlo alle macchine del tempo che riuscivano a stampare solo quattro colori al massimo a specchio, ossia rovesciati. Questo costrinse loro a modificare i colori del gioco di Nicolas Conver del 1760. Ne “La Montagna Sacra”, ad inizio film accanto all’uomo vestito di stracci, simile a Cristo, con un fiore nel palmo della mano e riverso nella sporcizia compare una carta dei Tarocchi: Il Matto. Quando poi la macchina da presa stringe su di essa le carte diventano due, una sovrapposta all’altra, identiche ma differenti nei colori. In questa simbologia filmica viene rispecchiato anche il ruolo del Matto all’interno dei Tarocchi stessi, che può essere indifferentemente considerato, in maniera circolare, l’ultimo o il primo del mazzo. All’interno del percorso filmico il Matto rappresenta inizialmente la figura dell’uomo incosciente, schiavo della materia e delle circostanze, per poi divenire l’uomo libero che ha raggiunto la piena consapevolezza delle cose e che procede lungo il sentiero della propria esistenza, conscio della caducità delle opere umane, ma anche pronto a rivelarsi “Mago” (l’arcano successivo), iniziato in pieno possesso delle proprie facoltà psichiche e morali. “La Montagna Sacra” (La montaña sagrada) è un film nel quale il regista ha partecipato anche in veste di attore (l’alchimista/mago), compositore, scenografo e costumista. Il film è stato prodotto da Allen Klein, manager dei Beatles, ed è stato interamente finanziato da John Lennon e Yoko Ono dopo che i due avevano gestito la distribuzione del western surrealista “El topo” in America. La pellicola racconta di un ladro, molto somigliante alla figura di Gesù Cristo, che dopo molte disavventure fugge in cima a una torre che si rivelerà poi un laboratorio di un misterioso alchimista. Dopo aver preso parte a vari riti iniziatici l’alchimista gli presenta sette persone, le più potenti della Terra, che, insieme a loro, rappresentano le nove concezioni di vita indicate dall’Enneagramma della personalità. Insieme dovranno raggiungere la Montagna Sacra, dove ci sono nove saggi che conoscono il segreto dell’immortalità. Il loro scopo è di eliminarli e di prendere il loro posto, ma una volta arrivati lì scopriranno una verità altra. “La Montagna sacra” è un film che scaraventa sullo schermo violenza, richiami sessuali espliciti, feticci di ogni genere, metafore cristologiche e bibliche (come la processione di prostitute bambine, un vescovo a letto con un crocifisso, l’uomo su una croce a forma di Tau, e bersaglio di una fitta sassaiola da parte de bambini nudi (gli Élohìm)) e simbolismo spirituale (la purificazione dell’anima attraverso i chakra, i pensieri occulti della magia nel “volere, osare, potere e tacere”, la teoria alchemica dei tarocchi), portandoli all’estremo del visibile stesso. È nella provocazione visiva carica di potere visionario, dunque, che sta il fulcro semantico dell’intero film, all’interno di un atto rituale che conduce il protagonista a liberarsi dell’Io atavico (il nano all’inizio del film sta a rappresentare proprio l’aspetto primordiale dell’Ego) per riappropriarsi della realtà, alla ricerca del sé. È in definitiva un’esperienza di trasformazione, di sincretismo alchemico/religioso volto alla trascendenza e alla denuncia di quegli archetipi umani del comando e della religione che conducono l’umanità stessa alla mercificazione e alla violenza.
29 La scena della liberazione del calco di Cristo in aria, mediante palloncini, ha un significato molto profondo: quello dell’abbandono dell’ego del protagonista ormai pronto ad approfondire la sua conoscenza spirituale. I palloncini sono blu e rossi, colori molto usati nei Tarocchi.
30 Anche qui c’è un richiamo ai Tarocchi, con la Torre, sedicesimo arcano che qui è il luogo di iniziazione. Curiosità: nel film vediamo una copia personale dei tarocchi del regista.
31 Una delle frasi cult del film
32 Gli oggetti simboleggiano rispettivamente i quattro doveri dell’iniziato secondo Eliphas Levi: sapere, osare, volere, tacere, nonché gli Elementi fondamentali, Acqua, Aria, Fuoco e Terra. Sono anche gli stessi oggetti tratteggiati nella lama dei Tarocchi del Mago. E così Il Bastone che gli viene posto fra le gambe con la parola “Sapere” è il simbolo del lavoro, dello sforzo a superare gli ostacoli e le prove, tra rappresentazioni falliche e organiche. La Spada che gli viene posta sotto il braccio all’altezza del cuore accompagnata dalla parola “Osare”, è il sigillo dell’infinito, dell’equilibrio conquistato e necessario per la realizzazione dell’Opera; è il Thiphereth dell’albero sephirotico. La Coppa che gli viene posta fra le mani accompagnata dalla parola “Volere”, è il simbolo della mescolanza dei sentimenti che partecipano alla felicità o infelicità, a seconda che ne diventiamo padroni o schiavi. È anche un luogo di raccolta di energie di cui la coppa è strumento e che il Matto dei Tarocchi sorregge quale dote chiusa nel fagotto che porta sulle spalle. La Moneta d’oro che gli viene poggiata sulla fronte, facendola precedere dalla parola “Sapere”, rappresenta le mete realizzate, le opere compiute, la somma delle potenze conquistate attraverso la perseveranza e la volontà.
33 Scene del film
34 I sette personaggi/pianeti rappresentano in un certo senso il mezzo mistico attraverso il quale Jodorowsky critica anche alcuni aspetti della società e le forme più subdole di mercificazione. Da Venere arriva un industriale che crea maschere e in esso si cela la critica all’estrema rivolta verso il lato esteriore della vita. Da Marte c’è una donna che fabbrica e vende armi mistiche e produce droghe per deliri d’onnipotenza e cela una critica verso le guerre di ogni genere. È di Giove un uomo che costruisce macchine erotiche con vagine meccaniche che dovrebbero sollecitare l’orgasmo. Di Saturno è un produttore di giocattoli da guerra che serviranno a elaborare i giochi più adatti a condizionare i bambini fin dalla nascita insegnandogli a odiare il proprio nemico, invitandoli alla guerra. C’è poi un uomo che viene da Urano, che è consigliere economico di un fantomatico Presidente, e che per salvare l’economia del proprio paese suggerisce di sterminare quattro milioni di cittadini in cinque anni. Un altro viene da Nettuno, ed è un feroce capo della polizia. Il personaggio di Plutone è un architetto. Mercurio, il pianeta più vicino al sole, è la donna assistente del Maestro, perché è la più illuminata ed è colei che ha già subito il processo di iniziazione, mentre il protagonista simboleggia la Terra, perché rappresenta la componente più umana contrapposta al Maestro che è il Sole, simbolo di energia divina.
35 Frase del film del personaggio che interpreta Venere
36 Il film è basato sulla ‘Salita al Monte Carmelo’ del mistico spagnolo del cinquecento San Giovanni della Croce, fondatore dei Carmelitani scalzi, e su ‘Il Monte Analogo’, opera incompiuta del surrealista francese del ’900, René Daumal.

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Mentre continua lo sforzo ascetico alla ricerca della via del sé, confrontandosi anche con i mostri del suo passato, Leandra frantuma finalmente la sua parete di finzione rendendosi conto che in fondo anche la vita e la verità sono a volte parte di una finzione più grande e che non rimane che cercare le risposte dentro se stessa, mentre l’alchimista le dice: “Più umani che mai… la realtà. Questa vita è realtà? No, è un film. Non siamo che immagini, fotografie. Romperemo l’illusione! Questa è magia! La vita reale ci attende(37).

Atto Psicomagico (38)
È arrivato davvero il momento per Leandra di dedicarsi a un agire concreto e di trasformare tutta questa consapevolezza conscia e acquisita fino a quel momento in un comando tangibile dato all’inconscio, oltrepassando ogni resistenza e censura.

Leandra si separa definitivamente dal suo io illusorio, cercando il reale sentiero della vita, immergendosi tra le immagini della sua autobiografia immaginaria che danza libera tra le note della realtà (39), mentre una voce sussurra al suo sé bambino, scavando tra le immagini della sua infanzia per reinventarsi, per modellare le immagini del passato vivendo nel presente, sogno e realtà si confondono… “Tutto quello che diventerai lo sei già. Tutto quello che conoscerai, lo sai già. Quello che cercherai, ti sta già cercando, è in te.” (40) sente pulsare nell’orecchio e poi: “Rallegrati delle tue sofferenze è grazie a loro che arriverai a me …Tu e io non saremo stati altro che ricordi, mai una realtà. Qualcosa ci sta sognando. Abbandonati all’illusione… vivi!” (41).

Il filtro magico del cinema le ha dato la risposta, le ha diagnosticato la cura. Il presente di Leandra deve motivare il passato con uno sguardo rivolto in avanti, al futuro. Quel futuro che i Tarocchi non possono prevedere, ma sanno orientare. E così la finzione filmica si fa realtà e mantra di un’illusione immersa intensamente nel vivere. Perché in fondo non siamo altro che persone nell’immensa farsa della vita, che appare tanto oggettiva quanto magica.

37 Frase del film. Nella scena finale, i discepoli al posto dei Nove saggi trovano dei fantocci, mentre il ladro invece, raggiunto dall’amata, non arriverà alla cima perché sceglie di vivere una vita soddisfacente nella realtà rinunciando all’immortalità. Sul monte il Maestro svela il segreto ai discepoli: non è stata trovata l’immortalità ma la realtà stessa. Il viaggio è un mezzo utopico per far comprende altro, anche il fatto che a volte è necessario attraversare il confine che separa e unisce al contempo la realtà dalla finzione. Si rompe la quarta parete e l’illusione scenica, spingendoci a vivere nella realtà e a cercare dentro noi stessi, il tutto all’interno di una sorta di i finale da meta-cinema, in cui vengono rivelati il dispositivo cinematografico e il set attraverso uno zoom all’ indietro ordinato dal Maestro.
38 “Che tu abbia o non abbia fede (nell’atto ‘magico’ da compiere per ottenere un risultato psicoterapeutico), devi avere la volontà di seguire alla lettera le istruzioni (prescritte dallo ‘psicomago’)”. “Per risolvere un problema non basta identificarlo. Non serve a niente essere consapevoli se non si passa all’azione”. “La gente desidera smettere di soffrire, è vero, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sue adorate sofferenze”. Per vincere questa sorta di inerzia, serve assumersi la responsabilità di realizzare un’azione concreta, in grado di scardinare abitudini, automatismi e coazioni a ripetere: l’atto psicomagico diventa il mezzo per trasformare la consapevolezza conscia in un comando dato all’inconscio,perché solo la “collaborazione” dell’inconscio può guarire i nostri “blocchi” psichici. Jodorowsky ci racconta molti esempi di atto psicomagico, riporto il seguente perché è uno dei più brevi. “Un ragazzo si lamenta di ‘vivere tra le nuvole’, di non riuscire a ‘tenere i piedi per terra’ né ad ‘avanzare’ verso un’indipendenza economica. Prendo le sue parole alla lettera e gli propongo di trovare due monete d’oro e di incollarle alle suole delle scarpe, perché calpesti oro tutto il giorno. A partire da quel momento, scende dalle nuvole, mette i piedi per terra e comincia a camminare… In questo atto mi sono servito addirittura delle parole usate dal mio paziente.” In conclusione, la psicomagia parte dall’assunto che nessuna presa di coscienza di noi stessi vale a cambiarci a meno che non si sostanzi in un’agire concreto. Più o meno quel che comprese Freud quando prese atto che, a differenze delle sue prime supposizioni, per rimuovere una nevrosi (abreazione) non bastava rendere consapevole il paziente del trauma da cui s’era originata. Si tratta di un concetto implicito nel pensiero magico dello sciamanesimo, che opera proprio tramite riti che parlano direttamente “ai nostri dei”. Al pari dello sciamano uno psicomago prescrive un rito che usa il linguaggio simbolico dell’inconscio per comunicare direttamente con esso, superando e vincendo le censure e le resistenze della nostra parte conscia.
39 “Essendomi separato dal mio io illusorio, ho cercato disperatamente un sentiero e un senso per la vita”. Questa frase definisce perfettamente il progetto biografico di Alejandro Jodorowsky: restituire l’incredibile avventura e ricerca che è stata la sua vita. Il film è un esercizio di autobiografia immaginaria e interpretato da membri della sua famiglia. È stato inoltre girato, interamente in digitale, nella cittadina di Tocopilla in Cile dove Jodorowsky ha trascorso la sua infanzia. Sebbene i fatti e i personaggi siano reali, la finzione supera la realtà in un universo poetico dove il regista reinventa la sua stessa famiglia. La storia è dunque ambientata Nel Cile degli anni 40, dove il piccolo Alejandro passa le sue giornate nel negozio del padre violento e Stalinista. Unico angolo di conforto è sua madre Sara, perennemente improntata all’enunciare ogni parola liricamente, ma amorevole e colma di bontà. Mentre la figura di Ibanez si erge minacciosa sul paese, il piccolo Alejandro comincia a crescere e a conoscere per la prima volta la paura, la felicità, la morte e l’importanza della famiglia. Assistito e confortato dalla versione anziana di se stesso, il bambino inizia lentamente ad assistere alla Danza della Realtà, nella quale realtà e sogno devono combinano per riuscire a intraprendere il vero sentiero della vita. In questo film si esaltano le potenzialità dell’essere umano che, rifiutando i limiti imposti dalla ragione,riesce a risvegliare quella forza nascosta di trasformazione della vita che si trova in ciascuno di noi. Sicuramente La danza della realtà resta il film più personale del regista nel quale forte è il rapporto tra storia individuale e Storia collettiva e la dialettica tra spiritualità e materialismo. Spiega Jodorowsky «La Danza della Realtà non è solamente un film, ma anche una forma di guarigione familiare, poiché tre dei miei figli ci recitano dentro. Torno alla sorgente della mia infanzia, nel luogo stesso dove sono cresciuto, per reinventarmi. È una ricostruzione che parte dalla realtà ma mi permette di cambiare il passato. Abbiamo girato il film proprio nel paese della mia infanzia, Tocopilla, che non è cambiato da 80 anni a questa parte, nella via dove si trovava la bottega dei miei genitori. È il solo negozio che era bruciato in questa strada, e l’ho ricostruito per le necessità del film. Ho fatto alcuni altri ritocchi, ridipingendo il cinema o riparando l’asfalto della strada. Quando ero bambino questa città mi ha rifiutato a causa del mio aspetto fisico: avevo la pelle bianca, il naso a punta, mi chiamavano Pinocchio, ero figlio di emigrati ebrei russi nel bel mezzo di un territorio acquisito dalla Bolivia e popolato di indios. Ero dunque un mutante, per gli abitanti. Non avevo nessun amico e ho passato la mia infanzia chiuso in biblioteca a leggere tutti i libri che c’erano. Nel film faccio vedere come i bambini si burlavano del mio sesso circonciso. Grazie alle riprese del film e ai miglioramenti che abbiamo apportato alla città, sono diventato finalmente il salvatore, il figlio ideale di Tocopilla. Mi hanno rilasciato anche un diploma. Sono l’eroe che ha portato il filtro magico per salvare il suo popolo, e questo filtro magico è il cinema». E ancora “Nel film realizzo i sogni di mio padre e di mia madre, e io realizzo il mio sogno di riunirli di nuovo e di creare una famiglia».Nel film compaiono anche molti dei motivi cari al regista e ricorrenti anche in altri film come il misticismo, la redenzione, il sacrificio messianico del sé, la presenza costante degli emarginati, dei freaks, il circo, le figure dei tarocchi, le visioni cristologiche, la violenza gratuita e la cruda nudità.
40 Frasi del film
41 ibidem

Bibliografia:

Psicomagia. Una terapia panica. Conversazioni con Gilles Farcet – Feltrinelli editore, 1997
La via dei tarocchi – Feltrinelli editore, 2005
La Danza della realtà – Feltrinelli editore, 2006
Io e i tarocchi. Per imparare a conoscerli – Giunti Editore, 2007

Filmografia:

Il paese incantato (Fando y Lis, Messico, 1968)
El Topo (Messico, 1970)
La montagna sacra (La montaña sagrada, The Holy Mountain, Messico-Stati Uniti, 1973)
Tusk (Francia-India, 1980)
Santa Sangre (Sangue Santo, Messico-Italia, 1989)
Il ladro dell’arcobaleno (The Rainbow Thief, 1990)
La danza della realtà (La danza de la realidad, Cile-Francia, 2013)

Illustrazioni a cura di Marzia Grossi