L’ultima volta è stato per Calcutta. Un tira e molla in romanesco da “Twitter Trend Topic” capace di spegnere a colpi di “scialla” la libido fra Renzo e Lucia. Lui alla fine non viene – a leggere “I Promessi Sposi“, il fatto è noto non ci torniamo –, ed i fan più sfegatati lo pigliano in culo, rischiando la cirrosi nel tentativo di bersi l’intero ordine che il Tamla aveva effettuato per far fronte alla serata: non ce la faranno. Edoardo D’Erme nel frattempo è al mare, forse a Peschiera del Garda.
Oggi però è diverso. Perché dal “vorrei ma non posso” – al Tamla non si può suonare perché ormai il centro di Cesena è paragonabile ad un bosco popolato da sequoie secolari che si nutrono di sogni (i nostri) – si passa allo StoneBridge Studio.
Campagna Romagnola, Autunno, castagne e vin brulé. Non è l’incipit di uno stornello locale, ma l’atmosfera che circonda lo studio messo a disposizione da Andrea Cola (Sunday Morning) per l’occasione. Una sorta di resistenza educata che delocalizza per potersi esprimere, nel tentativo di alimentare a distanza una passione mai del tutto sopita per la musica live; talvolta di nicchia, spesso sprone culturale socialmente necessario. Parafrasando un amico, lo slogan sarebbe: “Un concerto dentro ogni negozio sfitto del centro di Cesena”. E giù di motosega. Ma non funzionerebbe, non senza un buon aperitivo. (satira).
Forse siamo solo dei carbonari nostalgici di quelle sensazioni, quelle che tutti sentivano quando la musica era ancora percepita come traino sociale. Quando le cose potevano anche diventare pericolose. Oggi, l’entusiasmo è un’agonia nella città mortorio – dice Godano – e forse anche per i più devoti alla dottrina del binomio Divano/Serie Tv, comincia ad essere troppo. Non è tanto una questione di Rock (quale rock?) ma di noia, di piaghe da decubito.
All’interno dello StoneBridge Studio fortunatamente è diverso e si respira un clima particolare. Disposti in semicerchio ci confrontiamo con le fisiognomiche di sempre; amici e sguardi ignoti – quelli incrociati almeno un milione di volte –, mentre un introversissimo Nick Faraone (Barbarisms) attacca a suonare la sua acustica. Lui è magnetico, incolla il pubblico alle pareti ricoperte di legno dello studio, mentre qualcuno versa già le prime lacrime. Questione di empatia. Americano di stanza a Stoccolma, Nick ci regala una performance solista breve ma di grande intensità da cui si scorge un’assoluta devozione per lo Young (Neil) della tradizione, qui trasposto – per approccio e movenze – alla maniera del grande Nick Drake. Ne avremmo voluta di più, ma abbiamo compensato rompendogli i coglioni tutto il tempo.
Stesso genere ma soluzioni diverse per A.Dyjecinski. L’artista Canadese ha fatto uscire in maggio il nuovo “The Valley of Yessiree” costruendo in esso un ponte fra Folk della tradizione e Sad Core, mantenendo intatta quella vena alternative che in certe sfumature vocali finisce per evocare Matt Berninger – The National. Encore, applausi, altro encore e tentativo fallito di legarlo all’asta del microfono: per sempre.
Una serata che ci è servita. Che ci voleva, che non sia l’ultima.
Info: