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7 Aprile 2017 | Carosello | levanteofficial.com |
Nel 2017 si dovrebbe considerare superato il pregiudizio sulle cantanti femminili. E invece no. Spesso sono più le reazioni relative ai like su instagram, all’abbigliamento, che quelle riguardo la musica stessa. Certo è, assolutamente non per prendere le difese di certe argomentazioni, che se ad un alieno venisse chiesto di indicare una decina di cantanti italiane contemporanee questo senza dubbi risponderebbe: Alessandra Amoroso, Emma, Elisa, Annalisa, Chiara, Giusy Ferrero e talent dicendo. Non che l’altro sesso se la passi bene, ma l’indie odierno ha protagonisti prevalentemente maschili. Senza guardare le classifiche, basta aprire una qualsiasi playlist di Spotify, Youtube capirlo.
La cantante donna è spesso stereotipata (costretta) nella figura di cantante pop estremamente commerciale, ed è difficile rompere questa barriera. Nel 2015 la rivista Vogue (ah, beh, allora…) ha stilato una “classifica” online delle 10 ragazze della musica indie italiana: Levante, Rachele Bastreghi (Baustelle), Tying Tiffany, Baby K, Angelica Schiatti (Santa Margaret), Marianne Mirage, Alessandra Contini (Il Genio), Caroline Koch, Mimosa e Sara Loreni.
Lista che risulterà già ad oggi datata, vista la costante rincorsa alla next big thing caratteristica della società odierna, a cui noi aggiungiamo le giovanissime Giungla e Birthh, le più esperte Teta Mona e Roberta Sammarelli (Verdena) e Giungla.
Resta il fatto però che negli ultimi due anni (purtroppo) in poche hanno avuto un exploit rilevante. Alcune venivano considerate come promesse dell’indie italiano, per poi infangarsi in un limbo senza ritorno. Nelle parole di Federico Guglielmi si ritrova bene questo concetto: “Forse non è del tutto colpa sua, anche se indubbiamente la signorina ci marcia parecchio, che Maria Antonietta sia considerata la next big thing dell’indie italiano: la schiera dei cantautori votati al “famolo strano” è quasi solo maschile e può dunque avere buon gioco una ragazza che intona tra l’indolente e lo sguaiato canzoni autobiografiche condite di ostentazioni pseudomaudit”. Noi concordiamo.
Nelle classifiche, nelle pagine Facebook, nei blog e nelle parole dette sottovoce dai cultori dell’indie un nome ritorna spesso: Levante. La cantautrice italiana ci propone oggi il suo terzo lavoro “Nel Caos di Stanze Stupefacenti” (7/04/2017, Carosello Records) ottenendo pareri contrastanti dalla critica. Visto come una battuta d’arresto per alcuni, e decantato da altri che finalmente vedono la sua fama crescere.
Quest’anno è particolarmente intenso per Levante, che vede l’uscita dell’album e della prima fatica editoriale in forma di romanzo: Se non ti vedo non esisti. Scelta da giocatore di poker in stile Mark Wahlberg in The Gambler (pessimo film del 2014), remake del film 40.000 dollari per non morire del 1974: gioco tutto, se va bene faccio il botto, se va male… Non va male. Alla fine film come questi finiscono sempre bene. Levante ha scommesso tutto sul 2017; a fine anno tirerà le somme, tanto spettano solo a lei.
Si torna a parlare (finalmente) anche sui media di una cantautrice Indie Pop dopo mesi di Tommaso Paradiso, Cosmo, Motta e Edoardo d’Erme; sarà stato anche grazie a Fedez e J-Ax – la collaborazione per “Assenzio” –, ma quantomeno si sono spostati i riflettori dalle solite di cui sopra ad una delle pochissime ragazze che hanno fatto davvero gavetta.
In generale non c’è nulla di cui esaltarsi, ma qualcosa da riconoscere; Nel Caos di Stanze Stupefacenti è un notevole album Pop, tra i più riusciti di quest’anno anno, anche se siamo solo a maggio. Temi impegnati, voce particolarmente ispirata (“Io ti Maledico”) e collaborazioni importanti come quella con Max Gazzè in “Pezzo di Me” – c’è da renderle merito per essere riuscita nell’intento di far incidere al bassista-cantante siculo/romano/belga un pezzo al di là dei propri standard, per quanto pur sempre discreti. Le architetture sono spesso radiofonicamente perfette, specie se pensiamo a pezzi come “Non me ne frega niente”: inno al contrario sui sensazionalismi forzati da social.
Brani come “IO ero io” e “Le Mie Mille Me” – così Pop da sfiorare l’assonanza con Alessandra Amoroso –, si contrappongono a passaggi più nerboruti (“Gesù Cristo sono io”), pur mantenendo fede alla visione d’insieme del lavoro.
In risposta ad una domanda per l’intervista a Rolling Stone riguardo la nascita del brano, Levante dice:
«L’ho scritto di getto dopo che ho ascoltato 21 di Adele. A volte ho come dei copy, delle frasi che arrivano: “Che cosa ho fatto di male per meritarmi questa fame”, oppure “Gesù Cristo sono io”. Poi quando ho sviluppato il brano ho cominciato a parlare di quello che purtroppo spesso sentiamo. Non è un caso se l’ho scritto lo scorso anno, che ci sono stati un botto di femminicidi. Io non sono mai stata maltrattata da un uomo, ma ho parlato per molte sicuramente. C’è un impianto allegorico, con richiami biblici. “Mettere in croce”, “sei la regina”, la corona di spine, la parola “genuflessa”… Volevo farla uscire come primo singolo, mi è stato vietato. Siamo nel paese più cattolico al mondo».
Ineccepibile. Che sia Pop, Rock, Hard Rock, Dance, è importante sentirne parlare – ribadito in “Santa Rosalia”, dai temi LGBT, e in diverse occasioni all’interno dell’album. È “IO ero io” che, al limite, si poteva anche gestire diversamente.
Le repliche degli hater dei quali canta sono arrivate subito, non ultima quella mossa all’album da Michele Monina sul Fatto Quotidiano, che insiste spesso sull’aspetto social di Levante, accusata di essere troppo presente su Instagram con l’invito: “lascia la musica e resta su Instagram. Che quella è la tua strada”.
Del resto va anche detto che fa tutto parte del suddetto all in. Il social marketing è importante, lei l’ha capito e i risultati si vedono. Nel bene e nel male questi sono i nostri tempi. E abbiamo l’impressione che davanti allo specchio Levante si trovi a proprio agio, con o senza filtri Instagram.
Le Stanze Stupefacenti sono, a dir suo, le sue stanze mentali, ognuna con un caos personale. Ogni argomento, ogni canzone ha la sua porta, come quella collegata ad un amore malato in “Di tua bontà”, espresso anche musicalmente mediante l’utilizzo di vocalizzi distorti e accordi che diventano aggressivi nel finale. Qualcuna porta la sua firma in calce, in altre si trovano post-it attaccati con i riferimenti a Nina Zilli, Dolcenera, Paolo Nutini e l’ultima Giorgia (“Sentivo le Ali”). Levante dimostra di avere comunque una sua identità che la fa sì avvicinare alle suddette, ma allo stesso tempo la rende riconoscibile.
Non è la Levante di “Alfonso”, ma questo penso sia chiaro a tutti. Inutile dilungarsi oltre. Anche se c’è chi ancora si stupisce. Se qualcuno sperava di trovare una ragazza tutta “ukulele e maracas”, o “chitarra distorta e voce pulita” (“Duri come me”) mi sa che è meglio che viri altrove.
A Levante le si potrà pur perdonare qualche scivolone Pop. Ben fatto, ma pur sempre Pop, anche abbastanza commerciale.
“Che vita di merda” cit.