Questo speciale non si occuperà dell’intero movimento psichedelico,
ma solo della scena americana del periodo compreso tra il 1965 e il’70.
Si è optato per questa scelta in modo da poter trattare il più
ampio numero possibile di gruppi, mantenendo sempre però il filo
del discorso in ambito di psichedelica. Dunque, non troverete qui, ad
esempio, i Gratefull Dead degli anni ’70 o la incarnazione Starship
dei Jefferson Airplane. Per questioni di spazio si è dovuto procedere
ad una selezione dei gruppi da trattare prediligendo quelli che si sono
distinti per differenze stilistiche e \ o di contenuti. Non abbiamo
pretese di esaustività ma il solo scopo di fornire al lettore
un piccola guida per addentrarsi con logica in un mondo variegato e
ricco di sfumature. Per i gruppi che non verranno trattati in modo approfondito
segnaleremo comunque a parte i dischi psichedelici più rappresentativi.
Chi volesse approfondire maggiormente l’argomento può contattare
gli autori dello special sul forum o via mail.
INTRODUZIONE
Anno
2004: Il mondo della musica è una mega industria fatta di
miliardi, belle facce patinate, falsi ideali e videoclip. Ma non è
sempre stato così: c’è stato un tempo in cui la
musica era sinonimo di libertà e di amore, capace di guidare
alcune delle più importanti battaglie sociali – a volte in modo
inconsapevole – risvegliando le coscienze di intere generazioni, permettendo
loro di abbattere luoghi comuni e segregazioni; la musica è stata
nel corso degli anni un vessillo di rivoluzione. Nelle pagine che seguono
andremo a conoscere una delle storie più affascinati del periodo
d’oro del rock: quella conosciuta come “the summer of love”.
Da essa partiremo per intraprendere un viaggio nel mondo della psichedelica.
Vi racconteremo le storie di personaggi incredibili, attraverso la loro
musica rivivremo un periodo irripetibile nella storia del rock. Ma non
ci limiteremo a questo; vedremo come questi personaggi hanno mutato
con la loro arte tutto il panorama musicale, cercheremo di spiegarvi
i motivi che hanno portato una generazione di giovani ad infrangere
tutte le regole della allora società civile. Sono storie spesso
drammatiche , storie di autolesionismo, droga, sesso, pazzia, innocenza,
amore e morte: nel nostro viaggio troveremo tutto questo e altro ancora.
Bene siamo pronti, allacciate le cinture si parte per una viaggio allucinante
attraverso 20 anni di musica, andiamo a conoscere l’universo psichedelico.
La nostra storia ha inizio a San Francisco (California) nei primi anni
60. Questa città è sempre stata un’anomalia nel
cuore degli USA, del tutto diversa dalla vicina Los Angeles capitale
del cinema e dello spettacolo. San Francisco è un’oasi
felice in cui da sempre si radunano artisti tra i più disparati:
musicisti, pittori, poeti qui trovano una città dalla mentalità
molto aperta che accoglie sempre a braccia aperte le novità,
anche le più strane. Da sempre la “city on the bay”
ha dato i natali a personaggi geniali. Qui è nato Levi Strauss
l’inventore dei jeans, qui si è sviluppata l’industria
informatica (Silicon valley è molto vicina alla città)
e nel recente passato proprio in questa città è nato Napster.
Ma San Francisco è nota nel mondo soprattutto per essere la città
della musica e dell’arte. Come un dolce attira le api la “bay
area” da sempre attira gli artisti che in questa piccola città
(conta poco più di 800 000 abitanti) hanno deciso di risiedere.
Da questo si evince come San Francisco fosse il territorio ideale per
far crescere una filosofia di vita che avrebbe cambiato il mondo, la
“controcultura” degli hippie. Per capire bene che città
sia San Francisco sono importanti le parole di Paul Kantner (membro
fondatore dei Jefferson Airplane) :“Se
un artista ha una proposta valida e onesta, meglio se coraggiosa e innovativa,
a San Francisco troverà sempre un pubblico pronto ad ascoltarlo”.
Il termine “psichedelico” nasce nel 1943 quando viene inventata
la “LSD” (dietilamide dell’acido lisergico) – scoperta
per caso dal dottor Albert Hoffman nei laboratori della Sandoz, una
casa farmaceutica dell’epoca, mentre cercava di riprodurre in
laboratorio una sostanza capace di creare gli stessi effetti dei funghi
allucinogeni i cosiddetti “peyote”- e fondamentalmente vuol
dire rivelatore della mente, dal greco psiche (mente) e deloo (mostrare).
In sostanza: “Uno stato mentale caratterizzato
da una intensificazione della percezione sensoriale talvolta accompagnata
da distorsione della realtà, allucinazioni, intensa sensazione
di felicità o al contrario di disperazione.” Può
anche essere inteso come “mostrare la coscienza o l’anima”.
Il tutto derivato ovviamente dall’uso \ abuso di LSD. In verità,
si comincia a parlare di “musica psichedelica” solo a partire
dal 1965, ma per capire come si è giunti a questo bisogna partire
un pochino più indietro. Nei primi anni ’60 alcuni dei
musicisti più noti iniziano a rompere il tabù delle droghe
nei testi delle loro canzoni e ad inserire in esse immagini “allucinatorie”
tipiche della beat generation. Proprio la letteratura beat è
stata una delle maggiori fonti di ispirazione per i musicisti psichedelici:
ideali come la vita in “comune”, la cultura del viaggiare,
l’utilizzo delle droghe sono stati gli argomenti più gettonati
del periodo. Ancora una volta il precursore di tutto è Bob Dylan
che nella sua “Queen Jane Approximately” usava la metafora
di Mary Jane per indicare la marijuana. Sempre a San Francisco lo scrittore
Ken Kesey – fondatore di una delle prime comuni, quella dei Merry Prannksters,
situata a “la Honda” nella periferia della città,
i cui membri avevano svuotato un vecchio scuola bus ridipingendolo con
colori sgargianti e mettendo sulla targa di destinazione la scritta
“furthur” cioè oltre, al di là – inizia ad
organizzare dei raduni in cui, tramite l’uso del LSD, si cerca
di mettere in musica le teorie di studiosi come Timothy Leary e Allen
Ginsberg che predicano lo sviluppo dell’espansione della mente
e la nascita del “Homo novus”. Kesey aveva compiuto una
serie di studi sul rapporto tra LSD e creatività nei primi anni
’60 e con questi raduni, dove l’acido lisergico veniva distribuito
gratuitamente, cercava di mettere in pratica le sue teorie. Nascono
così gli “acid test”.
Per
la cittadina californiana iniziano così a circolare volantini
con il celebre slogan “turn on, turn
it, drop out”. Kesey ingaggia per i suoi raduni la
band degli Warlocks, che altro non sono che la prima incarnazione dei
Grateful Dead di Jerry Garcia. Siamo nel 1965 e gli effetti dell’acido
lisergico sono ancora sconosciuti ai più, tuttavia una piccola
comunità di giovani, che frequentava i primi acid test, inizia
sempre più spesso a farne uso. Proprio la band di Garcia è
una delle più attive in questo e le loro performance live sotto
l’effetto delle droghe cominciano ad avere una notevole notorietà.
Nel frattempo altre giovani band iniziano a mettere in musica le sensazioni
che provano nei loro viaggi “allucinanti”e gli acid test
prendono sempre più piede. L’8 gennaio 1966 ne viene organizzato
il primo al Fillmore di san Francisco dove si contano circa 2500 partecipanti.
Ma come mai questa nuova controcultura sta prendendo così velocemente
piede? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro: Torniamo ai primi
anni 60. La nuova ondata rock e il blues \ folk revival ha stimolato
le coscienze dei giovani con i suoi sentimenti di protesta: le nuove
leve americane sentono il bisogno di evadere da una società che
li ingabbia con le sue regole e leggi. Sempre più ragazzi si
avvicinano alle teorie di apertura mentale degli studiosi prima citati
(Leary, Ginsberg) e a San Francisco arrivano sempre più artisti
in cerca di un nuovo modello di società basata sulla pace e sull’amore,
il tutto ricercato tramite l’LSD che permette loro di raggiungere
un nuovo stato mentale. L’acido lisergico provoca allucinazioni
e dà la sensazione che la mente si estranei dal corpo raggiungendo
una sorta di stato di pace totale. L’obbiettivo di musicisti,
pittori, scrittori e poeti che nella bay area erano confluiti era proprio
quello di mettere queste sensazioni nella loro arte. Si creano così
delle comuni, luoghi in cui le persone vivono assieme in comunione totale;
il motto che anima questa nuova generazione è quello di “peace
and love” che poi si svilupperà nel fenomeno hippie. Tra
le tante comuni quella che fa da base ai Grateful Dead, situata al 710
di Asbury Street, diventa l’attrazione centrale della città;
sull’insegnamento di Garcia – che non è stato il primo
ma quello che attrae su di sè l’attenzione grazie al suo
carisma – iniziano a fiorire le nuove band di musica psichedelica .
Ma cosa si intende con questo termine? Cerchiamo di capirlo assieme.
La musica psichedelica è il tentativo di raffigurare tramite
i suoni il “viaggio” con l’LSD, essa perde quasi totalmente
la forma canzone comune per dare spazio a lunghe parti strumentali che
ricercano suoni nuovi al di fuori dei canoni generici. Questo lo si
può ottenere con più facilità grazie all’impiego
delle nuove tecnologie come i pedali “wah wah”, il distorsore
(che era diventato famoso grazie al successo di “Satisfaction”
dei Rolling Stones) e tutta una serie di piccoli effetti strumentali
che rimandavano all’espansione della mente e che suggerivano viaggi
cosmici. Stiamo parlando di effetti come echo, riverberi, phaser, fuzz,
alcuni mai sentiti prima di adesso, alcuni impiegati in modo pressoché
rivoluzionario a seconda dello stile artistico. A dimostrazione di quanto
la psichedelica discenda anche dal movimento pre elettronico /sintetico
e sperimentale di Stockausen o Varese, si osserva un sempre più
crescente interesse verso gli strumenti elettronici come il “Theremin”,
un apparecchio composto da due antenne montate su uno chassis in cui,
tramite il solo avvicinamento e l’allontanamento delle mani, è
possibile variare tonalità e volume di suoni che ora ricordano
violini sintetici ora voci, o il “Jug elettronico”, versione
elettrificata del tubo in vetro suonato soffiando al suo interno. Il
Theremin fu utilizzato, tra gli altri, dai Beach Boys in “Good
Vibrations” almeno 30 anni dopo dalla sua creazione, mentre il
Jug fu portato alla ribalta dai 13th Floor Elevators. Provando a definire
in parole lo Psychedelic Sound possiamo dire che esso parte da una matrice
folk, o elettro folk alla maniera di Bob Dylan di Blonde on Blonde per
intendersi, o blues, per poi dilatarsi in un suono altamente ipnotico,
surreale, in cui gli strumenti sembrano immergersi in liquidi densi
e le voci sembrano invece allontanarsi per poi tornare sottoforma di
feedback infettati da distorsioni o acidi effetti tra i più bizzarri
ottenuti tramite l’esasperato utilizzo di filtri e equalizzatori
forzati all’estremo. Anche chi suonava un certo tipo di musica
solo sulla carta estraneo come il surf dei Beach Boys o il jingle jangle
dei Byrds rimase influenzato da queste eccitanti novità sonore,
dando anzi alle stampe dischi fondamentali ed estremamente influenzati
da suggestioni lisergiche come “Pet sounds” o “Younger
than Yesterday”.
Ad
un certo punto sembrò di assistere ad una sorta di totale sconvolgimento
schematico, con molti gruppi interessati soltanto all’introduzione
di elementi bizzarri e sonorità cosmiche a scapito quindi di
una qualsivoglia forma musicale riconosciuta ed organica. Il movimento
psichedelico era altresì legato al movimento dei poeti della
beat generation, con cui condivideva motivi lirici ed il già
citato culto dell’acido lisergico, ma anche ad altri movimenti
legati alle arti figurative, tant’è che uno dei marchi
di riconoscimento dell’intero panorama psichedelico fu l’unione
di musica – immagine, se non o non soltanto per effetto di una droga,
per l’introduzione di elementi coreografici durante le interminabili
jam session di gruppi come Grateful Dead. Da qui derivano le luci o
le coreografie psichedeliche. Per capire a fondo lo psichedelismo e
il suo rapporto con la musica è però necessario comprendere
a fondo gli scopi e le esigenze che questo modo di pensare implica:
Il soggetto psichedelico cerca una sorta di amore universale al di fuori
dal corpo, questo lo spinge a cercare relazioni tra cose apparentemente
distanti in modo da trovare un unico filo conduttore che leghi il materiale
e lo spirituale, esso è per natura controcorrente, scettico e
contrario ad ogni forma di realtà precostituita. Il suo rapporto
con l’arte, nel nostro caso la musica, è di una costante
ricerca al di fuori dei comuni canoni musicali insiti in ogni genere;
In poche parole esso si prefigge lo scopo di superare i muri di divisione
tra generi, sempre alla ricerca del suddetto filo conduttore, cercando
un nuovo e diverso punto di vista che riusciva ad ottenere grazie all’uso
degli allucinogeni i quali espandevano le capacità sensoriali
dell’individuo. Su queste basi si muovono i pionieri del genere;
Nei testi delle canzoni iniziano a comparire i primi riferimenti all’uso
degli “acidi” e si inizia così a parlare di “acid
rock”. I primi riferimenti alla psichedelica appaiono in alcune
canzoni di band che resteranno semi sconosciute ,o comunque intrappolate
nell’undreground del genere, come i Blue Magos o i 13th Floor
Elevator che sono tra i primi a usare il termine “psichedelico”
con titoli come “Psychedelic Lollipop”. La vera esplosione
della musica psichedelica avviene però solo nel 1967. Grazie
al successo di alcuni dei gruppi cardine del movimento e le sperimentazioni
di altri (Beach Boys, Dylan, Beatles, Donovan tanto per fare qualche
nome) la psichedelica musicale prende forma.
I testi sono tutti incentrati sui viaggi in una sorta di nuovo mondo
e la durata dei brani perde ogni connotato radiofonico (fino ai primi
anni ’60 le durata era dei canonici 3 minuti poi Dylan con il
successo di “Like a Rolling Stones” che durava oltre 6 minuti
ha fatto cadere anche questo tabù) e le copertine e confezioni
dei dischi diventano la nuova forma di arte psichedelica.
L’esplosione
a livello planetario del movimento psichedelico avviene nel giugno del
1967 quando John Phillips (cantante,dei Mama’s & Papa’s
) e Lou Adler organizzarono il primo mega festival dell’era rock
il “Monterey Pop Festival”. Sul palco salirono tutte le
band più note di San Francisco ma anche Jimi Hendrix, The Who,
Simon & Garfunkel, Otis Redding, Janis Joplin. Questo grande evento
portò la “city on the bay” e la sua nuova scena musicale
all’attenzione del mondo. Quella marea umana che faceva il segno
della pace con le dita e che vestiva con colori sgargianti e pantaloni
a “zampa” divenne il simbolo di una nuova America e i ragazzi
che facevano parte vennero soprannominati “figli dei fiori”
proprio perché erano colorati e animati da sentimenti puri come
pace e amore. Questo periodo viene ricordato come “The Summer
of Love” ma in un certo senso non segnò l’inizio
di un’epoca ma la sua fine. Le case discografiche si resero subito
conto dell’enorme potenziale economico di band come Gratefull
Dead, Jefferson Airplane, Janis Joplin, Quick Silver Messanger e si
avventarono su di esse e sul loro pubblico. A San Francisco si precipitano
ondate di new hippie interessate più alla droga e alla politica
che ad altro. I locali storici come il Fillmore e l’Avalon Ballroom
diventano le attrazioni principali della città così come
il quartiere di Haight Asbury dove erano situate la maggior parte delle
comuni che ora venivano abbandonate dalle band e dai vecchi figli dei
fiori che preferiscono spostarsi in altri lidi. Nei 2 anni successivi
la musica psichedelica e il suo movimento raggiungono il massimo livello
di esposizione grazie a festival come Woodstock ma i vecchi ideali di
purezza sono ormai andati persi tanto che girava il detto “A
san Francisco meglio andarci con un P38 in tasca che con un fiore nei
capelli”.
A questo punto l’onda lisergica si espande a macchia d’olio
per tutti gli Stati Uniti, la nuova controcultura abbraccia un po’
tutti i generi musicali creando così suoni sempre nuovi. Anche
dal punto di vista dei contenuti si notano molte differenze, alcune
band si soffermano descrivere i loro “viaggi” raccontando
di mondi nuovi e meravigliosi altre si concentrano maggiormente sull’aspetto
politico e sociale ma questo lo vedremo nel dettaglio più avanti.
Definiti i tratti di questo colorato e variegato mondo vediamo ora di
conoscere meglio i gruppi più importanti del movimento psichedelico.
GRATEFUL DEAD
Tra
le band che hanno composto il fulcro del movimento psichedelico quella
che ha meglio incarnato gli ideali da esso promossi sono stati senza
dubbio i Grateful Dead. La band californiana è stata tra le prime
a sperimentare i suoni e le esperienze lisergiche trascinata dal suo
indiscusso leader, il grandissimo e mai troppo rimpianto Jerry Garcia.
Fin dagli albori del movimento Jerry ha partecipato ai primi acid test,
il suo carisma da leader silenzioso lo ha fatto presto diventare la
figura di riferimento per tutti coloro che volevano cimentarsi nell’arte
del suono psichedelico. Ad accompagnare Garcia , chitarra solista e
voce, nella grande avventura dei Dead c’erano Bob Weir (chitarra),
Phil Lesh (basso), Ron McKernan (tastiere), Mickey Hart (batteria),
Bill Kreutzmann (batteria), Tom Constanten (tastiere). Parte integrante
della band erano anche lo scrittore Robert Hunter e il grafico Rick
Griffin. Ancora prima dell’esordio su disco, avvenuto nel 1967,
i Gratefull Dead erano gia la band simbolo del nascente movimento, prima
con il nome di Warlock’s e poi con quello attuale deciso sembra
durante uno dei pomeriggi a base di acidi. I Loro live show erano un
punto di incontro per tutti i giovani “figli dei fiori”
che sulle note spaziali delle interminabili jam della band intraprendevano
i loro viaggi allucinanti. La musica dei Dead era caratterizzata dal
tocco chitarristico fluido e riconoscibilissimo di Garcia e dalle ipnotiche
note del basso di Lesh. Musica senza confini che esulava da tutti i
generi. Partendo da una base blues i nostri hanno saputo oltrepassare
tutti gli steccati per proiettarsi direttamente nel mondo colorato delle
esperienze lisergiche. Il primo omonimo album presenta una band ancora
abbastanza acerba: registrato in soli 3 giorni il disco è incentrato
sulle song che la band proponeva in concerto: Nonostante esse in studio
non furono in mantenere intatto il loro fascino possiamo gia notare
segnali della futura grandezza. Spiccano i 10 minuti di “Viola
Lee Blues” le rivisitazioni di classici del blues come “Good
Morning Little School Girls” e i brani originali come “Cold
Rain e Snow” che diventerà uno dei classici che la band
offrirà dal vivo. Il primo vero capolavoro la band lo realizza
solo pochi mesi dopo con “Anthem of the Sun”, uno dei dischi
più importanti di tutto il genere psichedelico: non perché
sia il migliore ma perché è uno dei primissimi album a
dare un taglio netto al passato, si tratta in sostanza di 2 lunghissime
suite (anche se i titoli sono 5) in parte live e in parte in studio
sovraincisi grazie all’uso di strumenti elettronici, la forma
canzone classica viene quasi totalmente abbandonata per dare spazio
a suoni acidi e deliranti: il primo
di una trilogia destinata a fare epoca. Con il successivo “Aoxomoxoa”
la band si spinge ancora più in la: nel precedente album i suoni
erano liberi in questo i Dead riescono nell’impresa di incanalare
in una canzone con forma precisa tutto il delirio delle esperienze lisergiche.
La musica tradizionale americana viene ripresa e rivoltata come un calzino,
le liriche (scritte da Hunter, mentre le musiche sono di Garcia) sono
tipicamente psichedeliche: brani come “St. Stephen” , “Mountains
of the Moon”, “What’s Become of the Baby”, “Cosmic
Charlie” sono degli autentici manifesti. Il processo di maturazione
della band è finalmente compiuto ora non manca che la ciliegina
sulla torta, la creazione del capolavoro immortale. Cosa che avviene
a distanza di pochi mesi con al pubblicazione di “Live Dead”.
Nessun disco si è mai avvicinato tanto all’obbiettivo di
tutto il movimento musicale psichedelico come questo live dei Grateful
Dead. Canzoni lunghissime , super dilatate totalmente prive di vincoli,
improvvisazione pura. Il brano di apertura la monumentale “Dark
Star” è una delle cose più belle che ci restano
di questa indimenticabile stagione musicale: 22 minuti di puro trip
cosmico con la chitarra di Jerry segnare la strada per il viaggio definitivo.
Un disco tutto da ascoltare e da vivere non a caso ritenuto uno dei
più grandi live di tutti i tempi, una sorta di punto di svolta
per tutta la musica rock.
Purtroppo come spesso accade dopo il raggiungimento dell’apice
inizia la discesa: finiti gli anni 60 anche la psichedelia inizia a
disperdersi: I Grateful Dead iniziano ad abbandonare il genere ma lasciandoci
in eredità dei lavori indimenticabili. Il merito più grande
dei Dead è ben descritto dalle parole dello stesso Jerry Garcia
che ricorda: “L’importante è
aver aperto una porta, un piccolo spiraglio che ha fatto luce nel buoi
del mondo: da allora è cambiato tutto”. Jerry
Garcia morirà il 9 agosto del 1995.
JEFFERSON AIRPLANE
Sicuramente
la formazione più famosa che ci consegna la scena di San Francisco,
i Jefferson Airplane nascono nell’estate 1965 intorno al primo
nucleo composto da Marty Balin (voce – chitarra), Paul Kantner (chitarra-voce),
Jorma Kaukonen (voce chitarra), Signe Anderson (voce), Skip Spence (Batteria),
John Casady (basso). Con questa formazione rilasciano un primo album
nel Settembre del 1966, quel “Takes off” ancora acerbo e
molto influenzato dal folk, anche se si lascia apprezzare per le belle
armonie vocali che Anderson e Kantner riescono a ricamare dietro la
voce solista di Balin. I primi problemi nel gruppo portano all’allontanamento
di Skip Spence (che formerà i Moby Grape) e di Signe Anderson,
rimpiazzati rispettivamente da Spencer Dryden e da quella che può
essere tranquillamente definita come il vero punto focale del Jefferson
sound, l’incarnazione dell’ideale femminile psichedelico,
la grandissima Grace Slick. Proveniente dai Great Society, la Slick
viene invitata nel gruppo proprio da Balin e Kantner subito dopo la
sua performance con i Great Society nella notte di Halloween del 1966.
La Slick porta con sé un fascino e un carisma non comuni e una
voce da sogno, nonché due brani del calibro di White Rabbit (favola
lisergica ispirata al mondo di Alice Nel Paese Delle Meraviglie) e Somebody
to love, autentici inni dell’imminente estate dell’amore.
Sospinti dal suo carisma rilasciano nel Febbraio del 1967 quello che
molti definiscono il disco più grandioso dei Jefferson Airplane
e comunque uno dei lavori più importanti dell’intero movimento
psichedelico: Surrealistic Pillow, titolo suggerito nientemeno che da
Jerry Garcia. Il successo è senza precedenti, l’industria
discografica decide di investire sul gruppo ma soprattutto sull’immagine
e sulla forza artistica di Grace Slick. Su questo periodo d’oro
della band e sul loro album più famoso Jorma Kaukonen ricorda:
“Surrealistic Pillow è uno dei
pochi dischi che ha superato l’ordalia del tempo senza danni.
Lo incidemmo in due settimane su un quattro piste, e vale doppio perché
contiene la mia prima composizione Embryonic Journey. Contemporaneamente
nasceva la nuova scena di San Francisco. Non scordiamoci che si tratta
di una piccola città ancora adesso, figuriamoci allora. Il tutto
ha coinvolto al massimo 200 persone tra artisti e affiliati: in pratica
una grande famiglia concentrata nel quartiere di Haight -Asbury. Una
stagione breve che perderà presto il suo spirito originale, la
sua ingenuità, per diventare un fenomeno commerciale”.
Innalzati a veri portabandiera della scena di San Francisco e tra i
rappresentanti più importanti della psychedelic way of life,
i Jefferson
Airplane non perdono tempo e rilasciano nel novembre dello stesso anno
il bellissimo (e forse ancor più interessante per contenuti squisitamente
sperimentali e psichedelici ) After Bathing at Baxter’s. Anche
se le vendite non riuscirono a bissare il tremendo impatto commerciale
di Surrealistic Pillow, ABAB consolidò la fama dei Jefferson
in un mix di Acid Rock e lunghe improvvisazioni strumentali figlie dell’estro
dell’altra anima del gruppo Paul Kantner. “Crown of Creation”
(1968) e Volunteers (1969) sono gli ultimi due dischi psichedelici che
i Jefferson danno alle stampe, anche se specie in quest’ultimo
si cominciano a delineare connotati più propriamente rock. Sempre
Kaukonen ricorda approposito di questi due album: “Con
Crown of Creation si cominciò a perdere lo spirito di gruppo
affidandosi alle qualità individuali di musicisti e compositori,
ognuno presentò le sue canzoni e alla fine si trattò di
tanti episodi solistici. Il risultato fu qualitativamente elevato male
prime crepe cominciavano ad aprirsi. Poi venne Volunteers il nostro
disco più politicamente impegnato: tutti ci sentivamo socialmente
impegnati ma Paul e Grace erano senza dubbio i più coinvolti:
I contrasti all’interno intanto si acuivano, soprattutto artistici.
La coppia Kanter\Slick da una parte e io e Jack dall’altra. Durammo
ancora qualche album ma da quel momento non è stata più
la stessa cosa”. Di lì a breve il gruppo comincerà
a sfaldarsi ed ogni membro si interesserà maggiormente alla propria
carriera solista, fino alla creazione della versione Starship nel 1974
che per assoluta estraneità al movimento psichedelico non prenderemo
in considerazione.
Tra i grandi della bay area va annoverato anche Jimi
Hendrix; nonostante fosse originario di Seattle e le sue
prime incisioni furono effettuate in Inghilterra i primi passi come
musicista Jimi li mosse proprio a San Francisco e ad essa fu sempre
legato. L’importanza di Hendrix per la musica psichedelica (ma
in generale per tutto il rock) è enorme: il suo modo poco ortodosso
si suonare la chitarra, con ampio uso di feedback e distorsori, e i
suoi incendiari concerti in cui bruciava lo strumento e simulava rapporti
sessuali fecero scuola divenendo uno dei must per tutto il movimento.
Lo stesso vale per le sue canzoni: brani come “Purple Haze”
e “Foxy Lady” sono veri inni psichedelici sia nei testi
che nelle musiche così rivoluzionarie e sconvolgenti.
ALTRI COMPLESSI DI SAN FRANCISCO
San
Francisco non fu solo Grateful Dead o Jefferson Aairplane. Almeno altri
due gruppi di fondamentale importanza emersero da questa straordinaria
scena. Stiamo parlando dei Quicksilver Messenger Service e dei Moby
Grape. I Quicksilver sono il gruppo acid rock per antonomasia, improntati
sulle sferzate chitarristiche di uno straordinario chitarrista come
John Cipollina e autori di uno dei dischi più straordinari dell’intera
scena psichedelica statunitense, Happy Trails del 1969, destinato come
pochi altri a resistere all’usura del tempo. L’album è
tutto incentrato sulle evoluzioni chitarristiche di Cipollina e del
suo partner Gary Duncan; in sostanza il disco è una sorta di
omaggio a Bo Didley del quale vengono riprese “Who Do You Love”,
che viene trasformata in una cavalcata psichedelica di oltre 25 minuti
divisa in varie parti, e “Mona”. Qui è anche contenuta
la loro canzone simbolo la splendida “Calvari” 13 minuti
di grandioso acid rock. I Moby Grape sono la creatura di Skip Spence,
uno dei personaggi più in vista di San Francisco e famoso per
esser stato il batterista dei Jefferson Airplane nel primo album, ma
anche per aver militato nella primissima incarnazione dei Quicksilver
Messenger Service intorno al 1964. Uscito dai Jefferson, Spence diventa
chitarrista dei Moby Grape, che propongono il classico suono rock blues
contaminato da suggestioni lisergiche. Di assoluto valore i primi tre
album, l’omonimo, Grape Jam e Wow.
ALTRE SCENE
La psichedelia non fu fenomeno circoscritto alla sola San Francisco.
In realtà il verbo psichedelico cominciò a farsi sentire
in ogni angolo degli Stati Uniti, coinvolgendo l’interesse di
migliaia di garage bands che avrebbero sconvolto il loro sounds per
addentrarsi negli spettacolari vicoli della psichedelia. In molte delle
grandi città statunitensi vennero a crearsi dunque scene più
o meno interessanti: da Los Angeles, al Texas, da Boston e New York,
ovunque sembrò di assistere alla diffusione di questi nuovi suoni.
LOS ANGELES
Los
Angeles fu seconda solo alla madre psichedelica San Francisco in fatto
di diffusione e quantità di gruppi: Electric Prunes, Love, Iron
Butterfly, Spirit, Seeds, Country Joe e Doors sono i nomi più
importanti di cui andremo a parlare.
Sebbene nativi di Seattle gli Elecrtic Prunes si stabilirono ben presto
a Los Angeles e ruotavano attorno alle carismatiche figure di Annette
Tucker e Nancy Mantz, principali compositrici del gruppo. Fornirono
un interessante sound garage punk impreziosito da moltissime suggestioni
psichedeliche. Il tutto è ben testimoniato sui loro primi due
dischi “The Elecrtic Prunes” e “Underground”
entrambi del 1967.
I Love sono senza ombra di dubbio una delle formazioni più interessanti
non solo della scena di Los Angeles ma addirittura dell’intero
movimento psichedelico. Strutturati attorno al chitarrista Arthur Lee,
i Love partono da un folk rock à la Byrds, passando per suggestioni
blues e influenze provenienti dal rock inglese. Tutta la loro discografia
è estremamente interessante, ma su tutti i dischi si eleva a
livelli d’eccellenza lo straordinario “Forever changes”
(1967), continuamente nominato tra i 10 dischi migliori di sempre da
molta critica e sicuramente uno dei dischi di maggior importanza dell’intera
scena californiana. “Forever changes” nasconde un sound
pop magico, variopinto, forte di tinte psichedeliche veramente uniche
sorrette da arrangiamenti che forse solo i Love seppero produrre in
quegli anni.
Precursori di sonorità che poi saranno chiamate Heavy Metal,
gli Iron Butterfly sono uno dei gruppi leggendari della scena californiana.
In realtà passano alla storia grazie a quella perla intitolata
“In a gadda da vida”, concentrato di hard rock e psichedelia
con grandi feedback chitarristici senza precedenti e uno dei grandi
tormentoni dell’estate psichedelica. Il resto della loro produzione
è sicuramente discreta ma non su questi livelli.
Di ben altro spessore artistico sono invece gli Spirit, grandioso gruppo
che ruota attorno al grandissimo chitarrista Randy California, uno dei
più grandi dell’intera scena psichedelica ma più
in generale del rock di quegli anni. Gli Spirit partono dalle influenze
blues di California per poi passare a quelle jazz di Cassidy (batteria)
e Locke (tastiere): il risultato è un sound a metà tra
blues-rock psichedelico e pre progressive, probabilmente è il
sound più colto uscito dal movimento psichedelico americano.
“The family that plays together” (1969) con le sue atmosfere
misteriose ma viscerali, e “The 12 dreams of Dr. Sardonicus”
(1970) sono i dischi più rappresentativi. Da notare che Randy
California prima di morire tragicamente nel 1997 era stato scelto dai
Deep Purple per sostituire Ritchie Balckmore a dimostrazione del suo
immenso valore come chitarrista.
I Seeds sono artefici di un sound molto vicino al rock inglese dei Pretty
Things, con molto organo a colorare il loro sound. Tra i primi a staccarsi
dal garage rock intorno al 1965, i Seeds si possono paragonare ai Doors
per l’impiego dell’organo, anche se in realtà sono
gli stessi Doors a ispirarsi a loro. Pubblicano 3 dischi in un anno,
di cui i primi 2 (The Seeds e A web of sound) molto vicini al sound
di Stones e Pretty Things prima maniera, mentre il terzo (Future) molto
più ispirato ai temi dell’estate floreale ed esotico abbastanza
per essere considerato uno dei manifesti dell’epoca.
La
scena di Los Angeles ci consegna uno dei gruppi più famosi del
rock, per meriti o demeriti non sta a noi stabilirlo. Quello che è
certo è che i Doors rappresentarono uno dei fenomeni più
interessanti della loro epoca. Geniale l’intuizione di legare
un poeta rock alle atmosfere psycho-blues del duo Manzarek-Krieger,
rispettivamente organo e chitarra. Musica a tratti piena di fumi e visioni,
in altri non molto distante da un semplice rock blues dove trovavano
spazio le allucinate liriche di un Jim Morrison sempre più calato
nelle scomode vesti di un nuovo Messia. Assoluto chirurgo del sound
rimane comunque Ray Manzarek con i suoi suggestivi organi che hanno
fatto scuola. Grandissimo per temi psichedelici il primo omonimo album
del 1967, con almeno 4 brani memorabili tra cui la splendida “The
End” canzone lunghissima il cui testo all’epoca fece scandalo
soprattutto per la parte in cui recita: ”Padre…voglio ucciderti.
Madre…voglio fotterti”, mentre i restanti album rimangono
poco più che tentativi poco riusciti di ripetere quella straordinaria
magia. Ciò nonostante le liriche di Jim Morrison ispirate ai
suoi viaggi allucinogeni restano uno straordinario esempio di scrittura
psichedelica anche se al contrario delle visioni “peace &
love” di S. Francisco le sue canzoni hanno un ambientazione più
tetra, raffigurando spesso gli incubi interiori del loro autore.
Un perfetto esempio di folk rock psichedelico viene fornito da Country
Joe & The Fish, complesso folk guidato dal folk singer Joe McDonald,
che combina sonorità à la Bob Dylan e temi di protesta
politica anche con un certo gusto satirico. Il loro primo disco, “Electric
music for the mind and body”, è una affascinante testimonianza
di ibrido fra folk e acid rock, impreziosito da molte ballate dal sapore
lisergico e forte di un livello qualitativo veramente eccelso. Joe divenne
famosissimo durante il festival di Woodstoock grazie al suo “Gimme
an F, Gimme a U, Gimme a C, Gimme a K…What’s the spell?..FUCK!!”
Gridato a piena voce da centinaia di migliaia di giovani presenti allo
storico evento. Joe è inoltre celebre per essere stato amante
di Janis Joplin e per le sue dichiarazioni sempre poco ortodosse come
questa “Oggi la musica rock ha completamente
perso lo spirito originario. Dov’è finita la sua attitudine
rivoluzionaria? Si è trasformata in un hobby per ricchi cinquantenni.
Guardate Paul McCartney: andare a vedere un suo concerto costa 250$.
Per cosa? Un po’ di nostalgia e…molta routine. E’
uno show preconfezionato: uguale a Helsinki, Sidney, Barcellona o New
York. Idem per gli Stones o The Who. E’ un atteggiamento da fascisti.”
Oppure: “Paul McCartney? Un fascista
di merda. Pete Townshend? Non sono affatto stupito che abbia qualche
problemino. Il rock? Un passatempo per dementi tipo Eminem”
TEXAS
Altra
scena di grande interesse si ha in Texas, in cui emersero sonorità
tra le più bizzarre e pazzoidi dell’intero movimento. Il
fenomeno delle garage bands forse conobbe il suo apice proprio in Texas,
dove flotte di teen agers tentarono di fornire la risposta americana
ai vari Beatles, Kinks e Pretty Things. Centinaia di bands si cimentarono
con l’utilizzo delle allora innovative fuzz guitars, ma gli esponenti
di maggior importanza furono senza dubbio i 13th Floor Elevators e i
Red Crayola. Famosi anche per l’utilizzo di un ulteriore ed innovativo
aggeggio elettronico, il Jug, i 13th floor Elevator ruotavano intorno
alla figura del cantante Rory Erickson, studioso di temi occulti, magia,
esoterismo, nonché dichiarato amante delle nuove droghe sintetiche.
Autori di esibizioni live devastanti sia per novità sonore dovute
soprattutto al bizzarro Jug Elettrico, sia per gli atteggiamenti del
gruppo, i 13th Floor Elevators ci consegnano almeno 2 grandissimi dischi:The
Psychedelic Sound of 13th Floor Elevators e Easter Everywhere, entrambi
destinati a diventare due dischi storici.
I Red Crayola si distinguono soprattutto per la loro attitudine free
e noise. Veri padri del rock alternativo di band come i Sonic Youth,
i Red Crayola propongono dunque una particolarissima forma di rock in
un immaginario incrocio tra rock sperimentale, rimandi a John Cage,
e sapori free jazz. Estranei ai motivi tematici della psichedelia, ma
assolutamente importanti per la loro personalissima concezione sonora,
i nostri sono autori di un devastante primo album, The Parable of Arable
Land, in cui forse per la prima volta si tenta di sconfinare oltre i
classici canoni rock senza far uso di diavolerie elettroniche.
NEW YORK
Principali
esponenti della scena newyorkese sono senza dubbio i Blues Magoos, esempio
perfetto di garage band pioniera di sonorità che sconvolgeranno
il rock nel decennio successivo. Abili musicisti i Magoos fanno esordio
su disco nel 1966 con quel “Psychedelic Lollipop” variegato
esempio di garage blues contaminato dal rock acido largamente improntato
sulle chitarre.
Ma New York è anche la città dei Velvet Underground, che
sebbene non appartenessero in tutto e per tutto al movimento psichedelico,
rappresentano uno dei punti di maggior spicco tra gli ambienti artistici
della città. Promossi da Andy Warhol, il gruppo si mantiene a
metà tra il carisma vocale (nonché chitarristico) monocorde
di Lou Reed e il genio sperimentale e avanguardistico di John Cale.
La loro era una attitudine psichedelica non dichiarata ma molto forte.
Rispetto alle band californiano quella dei Velvet era una attitudine
lisergica di tutt’altra fattura: Se da una parte c’era il
flower power con i suoi colori e i suoi viaggi fantasiosi in mondi difatti
di pace dall’altra, quella di Lou Reed e soci, c’era una
musica che comunicava disagio e scenari apocalittici con forti tendenze
autodistruttive. I primi due dischi, il primo omonimo con Nico e il
successivo White light / White heat entrambi del 1967, sono opere fondamentali
non solo per il rock psichedelico ma addirittura per l’intera
storia del rock, perfetti nell’esibire un coraggio sperimentale
mai udito fino ad allora e destinato ad influenzare pesantemente moltissime
bands dei nostri tempi. Esatto esempio di contrapposizione alla vena
melodica del rock inglese, i Velvet Underground sembrano disegnare delle
colonne sonore adattissime per gli scenari di una New York allora devastata
da molti problemi sociali.
BOSTON
Non
possiamo riferirci a Boston come ad una scena nata per il crearsi di
situazioni artistiche spontanee, ma piuttosto come una vera e propria
mossa commerciale da parte di una etichetta discografica, la MGM, che
avendo compreso le possibilità di successo di bands quali i Jefferson
Airplane o i Doors nel 1968 promuove con l’aiuto della stampa
locale un movimento musicale dai toni molto più leggeri e abbordabili
rispetto a quelli emersi altrove. Di questo intero movimento solo due
bands fornirono spunti interessanti, i Beacon Street Union e gli Ultimate
Spinach. Pretenziosi i primi, più organici i secondi, che comunque
riassumono tutto il loro valore in qualche brano del loro primo album,
vicino per sonorità a certe cose di Country Joe & The fish.
CONCLUSIONI
Come avrete notato l’ondata psichedelica è ben presto uscita
dai ristretti confini di San Francisco per invadere progressivamente
tutti gli USA; nel giro di pochissimi anni quello che era iniziato come
un fenomeno di nicchia si è trasformato in una vera e propria
moda che ha influenzato, in maniera differente, tutto il mondo del rock.
Se questo da una parte ha portato dei notevoli vantaggi creando sonorità
sempre innovative, le stesse che nel decennio successivo daranno vita
ad alcuni dei fenomeni musicali più rilevanti, dall’altro
ha portato ad una progressiva perdita dello spirito originale del movimento.
L’enorme successo ottenuto da band come i Jefferson Airplane ha
fatto si che il music biz mettesse le sue mani sulle giovani band psichedeliche
con tutti gli effetti collaterali che ben conosciamo. Ciò nonostante
l’importanza che questa corrente musicale e culturale ha avuto
resta enorme. L’eredità di Jerry Garcia, che resta il vero
fulcro di tutta la scena, è ancora viva oggi a distanza di 30
anni dal suo esordio e di 10 dalla sua morte. La nostra speranza è
che grazie a queste pagine molti di voi possano avvicinarsi all’arte
di queste grandi band che hanno dato vita ad una delle stagioni più
splendide di tutta la storia del rock.