Simone Lenzi (Virginiana Miller)

I Virginiana Miller sono una realtà bella e consolidata da tempo ormai. Erano i primissimi anni ’90 quando iniziarono a farsi strada, ed oggi, a distanza di tempo ci offrono l’ennesimo  album che merita più di un assaggio, Il primo lunedì del mondo. Ma scopriamo più da vicino il loro carismatico leader, Simone Lenzi.

“Dieci dischi tutti insieme, sono tanti. Forse li ascolto in un anno dieci dischi. Non mi fa onore dirlo, ma è la verità. Non ho più la fame che avevo da giovane. Ho uno stereo da quattro soldi, ma più spesso cerco su youtube, perché, come si dice dalle mie parti, mi pesa il culo: sono seduto al PC quasi tutto il giorno. Però dieci cose da ascoltare mi vengono in mente, se ci penso. E non sono necessariamente le migliori possibili in tutti i mondi possibili. Sono solo quelle che ascolto volentieri in questo periodo, perché mi parlano di cose che mi interessano.”

1 – Divine Comedy – “Victory For The Comic Muse”.
Non è l’ultimo CD di Hannon, è un disco del 2006. Ma sono letteralmente rapito da a Lady of a certain Age. Cosa mi piace di quel disco e di quella canzone, o dei Divine Comedy in generale? Difficile dirlo fino in fondo. Diciamo che mi piace pensare per assurdo. Se per assurdo fossi di buona famiglia, se in Italia esistesse il ‘bel mondo’, se i ricchi in Italia non fossero, per la maggior parte, degli orrendi cafoni arricchiti, beh, mi piacerebbe proprio scrivere canzoni così.

2 – Perturbazione – “Del Nostro tempo rubato” (2010).
Non si tratta di ricambiare il favore a Tommaso che ci ha messo fra i suoi dieci dischi del momento. E’ che quando cantano “non è la fatica è lo spreco che mi fa imbestialire” pensi che non si poteva dire meglio il senso di questo tempo di attesa. In Italia aspettiamo tutti qualcosa: non si sa cosa. Nel frattempo, altrove, c’è vita sulla terra.

3 – Baustelle “I Mistici dell’Occidente” (2010).
C’è quella storia che raccontava Tom Waits: lui alla finestra che guarda passare le canzoni. Se gliene sfugge una sa che la raccoglierà Bruce Springsteen, e che sarà un grande successo. Ecco, questo è il mio tributo al talento di Francesco.

4 – Townes Van Zandt.
Scoperto adesso, mi vergogno a dirlo. Non un disco in particolare, ma tutto quel che si trova. Non sono mai stato in Texas e mi piacerebbe andarci un giorno. Però sono stato in Nevada, nel Tennessee, e in quella California sabbiosa dove ancora non crescono le arance. Townes Van Zandt è figlio di quell’America che giustifica l’esistenza dell’America stessa. Testi potenti, una voce unica. Dalle profondità della terra viene il petrolio. Da una famiglia di petrolieri è venuto fuori questo poeta schivo e sofferente.

5 – Northpole.
I demo, il CD che finalmente uscì per “i Dischi De l’amico immaginario” (2005). Ascolti i Northpole e pensi a tutti quelli che hanno pescato dalle loro canzoni. Ad alcuni è data questa sorte difficile. Arare il campo dove altri raccoglieranno. Questo non toglie niente a chi raccoglie i frutti, toglie solo qualcosa a chi si è fatto il culo per dissodare la terra. Ascolto la canzone de La Fame di Camilla, quella di Sanremo. Non era male, certo. Ma non è pensabile senza i NorthPole, che a Sanremo non ci sono mai stati. Ascoltiamo almeno La Distanza, guardiamo l’anno di composizione di quel pezzo (che poi, meritoriamente, avrebbe rifatto Syria) e ringraziamo i NorthPole. Mi sembra il minimo.

6 – Joni Mitchell – “Blue” (1971).
Certo, non è una novità discografica. Però mi sono messo a riascoltarlo spesso in questi ultimi tempi. My Old Man, per esempio: una canzone splendida, melodicamente raffinatissima. “Non ci serve il pezzo di carta del municipio”, canta Joni. Proprio stamane (16 ottobre 2010) sul giornale locale la lettera di alcuni consiglieri PDL che dicevano di sentirsi a disagio per il pronunciamento favorevole del Vescovo sul registro delle unioni di fatto. “Si sentono a disagio”: cosa vuol dire? Perdita di appetito? Mal di pancia? Un senso di spossatezza? Mah.

7 – Mike Patton – “Mondo Cane” (2010).
In durftiger Zeit, nel tempo della miseria: ne parlava Hoelderlin. Mi chiedo: cosa serve nel tempo della miseria? Cosa avremmo da dare? Fumaroli in un articolo sul Corriere di qualche giorno fa diceva che l’Italia avrebbe avuto tanto da offrire per riscattare la miseria del tempo presente, come già successe in passato. Eppure temo che la nostra ultima luce sia stata proprio quella che brillava nella canzone popolare degli anni sessanta. Dopo, solo rare scintille. Patton ha catturato quella luce, e l’ha riflessa al meglio, facendola risplendere. Ci ha insegnato qualcosa di noi che noi non sapevamo più.

8 – Beach House – Teen Dream (2010)
Me l’ha consigliato la mia amica Nur. E quando la mia amica Nur mi consiglia un disco io penso sempre che abbia ragione lei. Infatti, ha ragione lei. E’ un bel disco.

9 – The Editors – An End has a Start (2010) .
I fumatori fuori dell’ospedale.

I can’t shake this feeling I’ve got
My dirty hands, have I been in the wars?
The saddest thing that I’d ever seen
Were smokers outside the hospital doors”
Che bella immagine. Avrei voluto, avrei dovuto pensarci io, invece c’hanno pensato loro. Maledetti.

10 – Bobo Rondelli “Per l’amor del cielo” (2009).
Mi commuovo quando Bobo canta “viaggio d’andata senza ritorno, bella Livorno”. Un giorno finalmente capirete che dovete trasferirvi tutti qui. Che dovete trasferire tutto qui, a Livorno. Intendo anche la sede di MTV o della Warner, anche San Siro, anche la RAI o il festival di Venezia. Perché noi non ci muoviamo, non ci muoveremo mai del tutto. Resteremo qui ad aspettarvi, e sarete i benvenuti.