Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
12 Ottobre 2010 | Universal | www.iministri.com |
Noi Fuori
Il nuovo disco dei Ministri è un bel dischetto, ma meno bello dei precedenti. E non è un problema di produzione, come invece dicono i detrattori. Da questo punto di vista è infatti ben riuscito: vanta una produzione giustamente grande, che utilizza le carte in tavola in maniera efficace ed espressiva per raggiungere una forma canzone centrata, anche se radiofonica, ma mai superficiale o fastidiosa. Valga un esempio per tutti: l’elettronica. Le prime critiche rivolte al singolo “Il Sole (è importante che non ci sia)” colpivano proprio questa particolare caratteristica della produzione, in particolare nei suoni di batteria. Ma l’elettronica in questo brano, e in tutto il disco, conferisce – a quello che diversamente sarebbe un rocchettino da circoletto ARCI – una chiave dada e new wave fresca e interessante, intervenendo con asprezze e legnosità ballabili e fluorescenti laddove l’orecchio del trentenne vorrebbe ancora sentirci Nevermind. Ebbasta!
Altro elemento che viene sottolineato a mo’ di critica è la mancanza di punch-line, di frasi storiche da mettere sul proprio blogghetto. Vero. Metteteci le frasi dei Non voglio che Clara o dei Perturbazione sul vostro blogghetto, che hanno probabilmente molto più bisogno dei Ministri di un po’ più di fama e di hype carbonaro.
La produzione è troppo patinata? C’è un limite entro il quale io stacco la spina, e qui non raggiungo nemmeno il livello di guardia. Perché anche negli episodi più radiofonici, come “Vestirsi male”, intervengono altri elementi, come la forza di certe parole, l’epica di certe soluzioni melodiche del cantato o l’espressività convintissima dietro al microfono a farmi sentire puzza di urgenza e di rabbia. Ed è quello che voglio sentire da un disco del genere.
Ed è una cosa che i Ministri sanno notoriamente fare bene.
Il problema semmai è nel songwriting, sia dei testi, il cui livello generale non eguaglia mai quello degli altri lavori, sia di alcuni episodi musicalmente poco convincenti. La verve incendiaria del primo album, ed in particolare gli standard qualitativi del secondo (parlo di “Tempi bui”, che vantava una tracklist scevra da episodi “minori”), non sono sempre rispettati, e, procedendo nell’ascolto, si ha l’impressione che alcuni momenti di grana più grossa rovinino il tutto. Si rischia l’effetto Vasco Brondi, auto-citazionismo, i Ministri che fanno i Ministri, girare intorno ad una formula di successo consolidata rinunciando alla ricerca. Ricerca che è invece presente in altri brani più a fuoco come “Mangio la terra”.
In conclusione: se il carburante all’altezza del “quarto” lavoro comincia a scarseggiare, viene da chiedersi se la verve incendiaria dei primi lavori non fosse altro che un fuoco di paglia.
Che poi la situazione musicale-alternativa italiana sia drammatica, proprio a livello di morale, di spogliatoio, e di sostanze, questo, è un altro discorso.