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22 marzo 2011 | Tamburi Usati / Venus | Marta sui Tubi |
Cristiana
Avverto: farò il guastafeste. So che i Marta sui Tubi stanno ricevendo ottime recensioni in rete per questo ultimo lavoro, e so anche bene che i Marta sui Tubi sono ormai consacrati universalmente come band che spacca il sedere in sede live, e che in studio dimostra arte e artigianato musicale sopraffino. E so che tutte queste belle cose che si dicono di loro sono state ampiamente guadagnate dalla band di Gulino e soci attraverso il sudore della fronte, le lacrime e il sangue. E gliene rendo merito. Ma arrivati al quarto disco sarebbe lecito tirare un po’ le somme, e forse pretendere (posto che questo abbia un senso in ambito musicale) che una band trovi una misura inattaccabile nel dosare e far funzionare al meglio le peculiarità di cui dispone, a maggior ragione se la band in questione ha talento da vendere.
Il problema è che questo avviene fino a un certo punto. Non abbiamo il disco della maturità, ma solo un buon successore del disco precedente, che era ugualmente tortuoso, complicato e sperimentale, ma possedeva anche un bel numero di colpi azzeccatissimi come, per dirne due, Cinestetica o La Spesa: brani che riuscivano efficaci nel coniugare melodia e avanguardia, con scarti dalla norma ben integrati, testi dotati di un piglio lirico e stralunato di grande impatto, e linee vocali memorabili. Qui gli elementi in questione ci sono tutti, ma in alcuni casi funzionano meno.
Cristiana, non a caso scelto come singolo, è il brano più easy-listening del mazzo, ma anche quello che meglio si avvicina al punto di fuoco in cui le varie caratteristiche dei Marta sui Tubi si amalgamano e si danno forza a vicenda. Basilisco ci dona calore folk e strutture sghembe con grazia, e Guinzaglio, sul versante più rumoroso, è un brano molto efficace: sono sicuro che diventerà un inno. Manca però un brano immediatamente riconoscibile e di grande impatto. Sul versante meno riuscito ci sono brani come Le cose più belle son quelle che durano poco, Camerieri o Muratury, che partono da una bella idea, ma la perdono dietro alla smania di dimostrarsi creativamente fin troppo dadaisti, fino all’auto-flagellazione. Tra questi due estremi navigano poi gli altri brani.
Per un gruppo che si è creato la propria etichetta discografica (la Tamburi Usati) proprio al fine di difendere la propria indipendenza da certi meccanismi, il desiderio di libertà creativa è un desiderio sacrosanto. E sono il primo a difenderlo. Ma nell’arte a volte serve anche la capacità di auto-imporsi dei limiti, soprattutto se le possibilità che si hanno nella propria faretra sono immense, e soprattutto se si è dimostrato di saper scrivere delle grandi canzoni. E forse la verità è che gli artisti bisogna solo lasciarli esprimere, e stare a guardare. Tuttavia mi scopro a pensare che Il Commissario, singolo uscito nel 2010 a supporto della colonna sonora della serie Romanzo Criminale, sia un brano emotivamente più efficace e coinvolgente di tanti altri brani presenti in questo quarto disco. Ma forse mi sbaglio, ecco. Forse dobbiamo solo lasciarli divertire.