The Horrors @ Alpheus (Roma) – 23/11/2011

Attitudine e Visual: Questa sera in città ci sono i Sonics che suonano al Circolo degli Artisti. Mi piace immaginare che almeno Faris (carismatico frontman degli Horrors), da buon appassionato di vintage e di vecchi vinili qual’è, si sia voluto intrattenere a cena con queste autentiche glorie del garage americano. Come che sia questa sera il concerto degli Horrors viene aperto da almeno un’ora di playlist selezionatissime di beat d’annata, cose anche acidissime, con una nutritissima sezione di beat italiano, il tutto a cura dello stesso bassista della band, in piena trance da collezionista e cultore di musica di genere. Da dietro al suo MacbookPro snocciola chicche per superesperti e per cacciatori di suoni di soundhound, sparate a tutto volume, fruscii compresi, dalle casse dell’Alpheus. La cosa ha un fortissimo valore di attitudine e iconico, se si pensa che gli Horrors non hanno mai nascosto di essere appassionati di dischi e di collezionismo musicale, prima ancora che musicisti, e che nel corso della loro carriera discografica sembra abbiano voluto toccare calligraficamente vari momenti delle sottocorrenti che hanno agitato il rock dai ‘60 agli ’80: garage, post-punk, shoegaze e synthpop.
Quando salgono sul palco – In pieno trip eighties e Simple Minds – gli Horrors non si presentano più come i tipi scappati da un party garage-rockabilly-emo del disco degli esordi. Si presentano invece con camicie optical di psichedelica memoria dietro al basso, con giubbottini rossi di pelle dietro al microfono, e alla tastiera con riga in parte e brillantinata a la Kraftwerk. Basterebbe questo a far capire di che ingredienti è fatto il concerto di stasera.

Audio: il trip di riverberi, di synth e di strutture circolari di Skying – ultimo lavoro degli Horrors – si riflette sul suono della band, che appare arioso, fortemente riverberato, ma anche robusto e “live” all’occorrenza, quasi a non voler dimenticare il synth-garage degli esordi, specie in alcune sfogate chitarristiche. E se la componente atmosferica e eighties prevale sul sound della band, è bello notare che a volte si è capaci di spostare lievemente l’accento su parentesi Kraut, momenti shoegaze rumorosi, e groove quasi danzereccio. Il merito è anche di una sessione ritmica molto molto presente che colpisce dritta allo stomaco, e spinge a muoversi, molto più che sul disco. L’Alpheus fresco di ristrutturazione reagisce molto bene, con un’acustica davvero gradevole, che permette di cogliere il concerto in maniera distinta e di apprezzare le sfumature del suono della band.

Setlist: una setlist principalmente concentrata intorno all’ultimo lavoro della band, “Skying” con qualche puntata sul precedente “Primary Colours”, tra cui Who Can Say e Scarlet Fields. Il problema è una durata molto molto risicata del set, dopo circa 50 minuti di live la band saluta, ringrazia, e poi rientra per eseguire altri due altri brani, tra cui la lunga e bellissima suite krauta di Moving Further Away, che chiude il concerto richiamando le atmosfere della meravigliosa Sea Within A Sea del disco precedente. Il pubblico sembra contento quando la band se ne va, ma in effetti con tre dischi a disposizione un’ora precisa di concerto è un po’ poco, nonostante la buona perfomance e l’ apprezzabile scelta di compattezza stilistica della band.

Momento migliore: indubbiamente la seconda parte del concerto, dove la band gioca le sue carte migliori, si scalda e raggiunge un’empatia col pubblico divertita e coinvolgente. Gli oltre otto minuti di Moving Further Away sono la giusta conclusione, la band concentra tutte le sue influenze e gioca le sue numerose carte in un singolo brano, dal groove danzereccio, all’ipnosi acida e teutonica, alla capacità di inserire in questo contesto graffi di chitarre, atmosfere shoegaze e ripartenze. Un affresco davvero godibile.

Locura: un ragazzo all’uscita dice ad un amico “ogni volta che li vedo dal vivo ho l’impressione che siano un pacco, ma poi mi piacciono”. Quando si dice capacità di sintesi.

Pubblico: un pubblico attento, costituito da eyeliner in vesti 60’s, stilosi nostalgici del recupero beat e rockabilly, signorine un po’ goth e un po’ vintage, molti giubbottini di pelle e alcuni curiosi. La sala del concerto non è gremita, anzi, è piena per metà. Pochi ma buoni.

Conclusione: pare che il concerto sia stato spostato dal Pala Atlantico all’Alpheus per scarsezza di prevendite. A complicare le cose mettiamoci che forse il tipo di pubblico degli Horrors è stato in parte calamitato dall’altro evento della capitale: il concerto dei Sonics al Circolo. Tuttavia il concerto riesce bene, l’atmosfera è carica, non si respira aria di decadenza o di sconfitta intorno alla band. Gli Horrors sono semplicemente una band che ha lasciato la strada del facile hype da fenomeno da baraccone per conquistarsi una credibilità musicale fatta di recuperi, e di sapienza nel mischiare le tessere delle correnti musicali del passato. Una band che fatica a diventare enorme, ma che probabilmente vuole mantenere questa dimensione, godibile, apprezzabile in un club, da un pubblico ben definito.

Le foto non si riferiscono alla data recensita