Diagrams – Black Light

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Dopo la separazione (temporanea o definitiva, chissà) dai Tunng, di cui era co-frontman, Sam Genders torna alla ribalta con il suo nuovo progetto Diagrams, per il quale ha deciso di avvalersi di una ricca schiera di collaboratori fissi: Danyal Dhondy come arraggiantore d’archi, Laura Hocking come vocalist di supporto, Hannah Peel ai cori e al trombone, Matt McKenzie come batterista e Tom Marsh, polistrumentista, più altri quattro turnisti per le esibizioni live.
Vi state già facendo un’idea di come potrebbe suonare questo disco? Bene, ora però aggiungo a sorpresa che il produttore del disco è Mark Brydon, ex membro dei Moloko. Se pensavate quindi che l’essenza dei Tunng fosse rimasta inalterata mi spiace, ma vi sbagliavate. L’impronta di fondo è chiaramente percettibile,  tuttavia la produzione di Brydon da, come è lecito aspettarsi, un certo brio in più rispetto a quello mediamente presente nei Tunng. Il suo tocco è udibile soprattutto in un paio di pezzi un po’ più movimentati, vedi Tall buildings,  Antelope e Black light, che ha l’unico difetto di sembrare la sua prosecuzione.

Per il resto l’album scorre tranquillo su una vena abbastanza 60s per quanto riguarda l’impostazione vocale, e con dei beat elettronici pre-fabbricati proprio da Brydon a fare da sostegno, seguendo ritmiche che evocano generi diversi:  Mills per esempio è un po’ scanzonata da questo punto di vista, ma per carità non definiamola lo-fi, che sennò il signor Diagrams, che vuol fare della precisione e nitidezza del suono la sua arma vincente (tanto da scegliere per questo motivo il nome del suo progetto), si offende! Andando in ordine sparso, sempre approposito di ritmi Appetite suona un po’ rollingstoniana, e per la par condicio l’introduttiva Ghost lit ha un che di beatlesiano, mentre con Animals e Penninsula Genders dimostra di essere un buon allievo del contemporaneo alternative folk (come quello di Feist, giusto per fare un nome).

Tirando le somme: un lavoro ben riuscito, merito di un encomiabile sforzo di contaminazione rispetto allo stile del capobanda Sam Genders, che è riuscito a dar vita a un disco di pregevole fattura che sicuramente non soffrirà troppo di complessi di inferiorità con i suoi omologhi (stilisticamente parlando) contemporanei.