ATTITUDINE E VISUAL: Atteso ritorno in Italia per gli Incubus, band californiana nata nei primi anni ’90 che da allora non ha mai smesso di sviscerare il magnifico mondo delle sette note con quel misto di nu-metal e pop (per definizione indefinibile) purtroppo assai spesso sottovalutato. Di loro si può dire tutto, tranne che dal vivo non siano, appunto, ‘vivi’: già a sentirli su disco, superato il pregiudizio che porta a considerarli come un gruppetto per adolescenti confusi, ci si rende conto dell’energia e della cura che dedicano alla composizione, e sul palco tutto viene amplificato dalla loro naturale iconicità, puri e luminosi come un’apparizione, eppure così corporei. Sembrano veramente usciti dalla spuma dell’oceano in stile Venere di Botticelli, simpatici ed equilibrati come pochi. A incorniciare il tutto, l’atmosfera bucolica dell’ippodromo e una scenografia minimale ma significativa, con pannelli floreali valorizzati da giochi di luce altamente suggestivi. Come gruppo supporter si sono esibiti i FiN, apprezzabile band inglese abbastanza pop, scatenatissimi e piacevoli nonostante l’ovvietà di alcuni passaggi. (Tornando agli Incubus, per la cronaca: sì, Brandon verso metà concerto si è smagliettato.)
AUDIO: L’Ippodromo delle Capannelle sarà pure fatto per far correre cavalli, ma anche il suono ci corre abbastanza bene. A ciò va ad aggiungersi la maestria esecutiva degli Incubus: la potenza e la chiarezza della batteria pachidermia di Josè Pasillas toglie il respiro, in perfetto contrasto con la sinuosità della voce di Brandon Boyd e della chitarra di Mike Einziger, che non ne sbagliano una neanche a provarci, posizionandosi a seconda del caso lungo un continuum tra dolcezza e ruvidità che li rende a buon diritto meritevoli di essere considerati come due dei performer più versatili e pregevoli in circolazione. Sempre speciale la presenza di Dj Kilmore, che dall’alto della sua megapostazione si insinua ad hoc nel tessuto dei pezzi ricamando il sound del gruppo.
SETLIST: Come per tutte le band che hanno all’attivo parecchi dischi, c’era il rischio di rimanere delusi da una setlist che magari trascurasse il passato. Rischio che, nel caso degli Incubus, è amplificato dal fatto che ognuno dei loro sei dischi sia un mondo a parte, con il proprio ascoltatore-tipo con i suoi pezzi di riferimento difficilmente contestabili. E invece la magnanimità dei cinque di Calabasas non ha deluso nessuno: l’inaspettata apertura con Nice To Know You ha fatto subito intuire che non sarebbe stato solo un pallido concerto all’interno di un tour promozionale. Il viaggio nello spazio-tempo è poi proseguito infatti con Megalomaniac, e solo dopo è arrivata Adolescents, dall’ultimo disco ‘If Not Now, When?’. Il gioco di equilibri ha mostrato la sua efficacia anche nell’accostamento dei pezzi, almeno apparentemente non casuale, in un continuo richiamo tra presente e passato che ha fatto sì percepire quanti anni siano trascorsi, ma senza attivare quel tristissimo meccanismo di riesumazione forzata senza senso. Sentire in successione Love Hurts, Circles e Switch Blades è emozionante, non patetico. Le immancabili non sono mancate: Are You In, Drive, Wish You Were Here, A Certain Shade Of Green, Anna Molly, Pardon Me…è storia. Un po’ discutibile la chiusura con Sick Sad Little World, ma giusto a voler trovare il pelo nell’uovo.
LOCURA: Le coreografie da tarantolati dei FiN avranno avuto anche un loro perché, ma, nel frattempo, sarebbe stato meglio chiamare un esorcista.
PUBBLICO: Varietà demografica che neanche nella serie storica dei censimenti ISTAT sarebbe riscontrabile, e questo fa capire quanto la musica degli Incubus sia universale. Il clima era sicuramente rilassato e gioviale: pogatori selvaggi e sbandieratici dell’avvenenza di Brandon erano ovviamente presenti, ma la sensazione era che nulla in quelle due ore avrebbe potuto turbare l’atmosfera.
MOMENTO MIGLIORE: Wish You Were Here è arrivata fresca e cristallina proprio prima dell’encore: è un pezzo miracoloso, nient’altro da aggiungere.
CONCLUSIONI: A meno che non si disponga di una vagonata di ricchezze e del dono dell’ubiquità, non è possibile presenziare a tutti i concerti che questa estate 2012 propone. Questo era uno di quelli da non perdere: aldilà del grado di apprezzamento che si può attribuire a un certo tipo di musica, partecipare a un evento del genere, in cui ogni minimo gesto concorre alla perfezione del totale, può far solo che bene.
Le foto sono di Daniele Bianchi