The Walkmen – Heaven

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Tra pezzi come Southern Heart e Line By Line si assapora appieno un disco, che già dal titolo sa di cori celestiali, di armonie delicate, di combinazioni soavi all’insegna dell’umiltà; un disco fatto di sogni d’oro che perdono la loro brillante lucentezza col farsi cose terrene. Scordatevi infatti barocchismi prepotenti e orchestrazioni impetuose: il paradiso dei The Walkmen è ben lontano dalla nostra visione distorta che ci mostra un cielo colmo di sfarzosità ecclesiastiche; Il cielo dei The  Walkmen è un paradiso amaro, un paradiso perduto o forse solamente un piccolo spazio terreno di tranquillità, sempre in bilico, pronto a rompere il suo equilibrio.

Si parte bene con We can’t be Beat, la traccia d’apertura che è un piccolo gioiellino: cori liturgici accompagnati da un’esile chitarra acustica e, tra musiche celestiali, si fa sempre più pressante l’anima folk del gruppo, che si accende pienamente al terzo minuto dando vita a una ballata in pieno stile Fleet Foxes, dai tratti popolari e danzerecci.

A questo punto non potevo che aspettarmi un ottimo disco, superiore alla leggera caduta del precedente Lisbon. Stavo per esultare al capolavoro già al primo pezzo, e forse ho peccato di un eccessivo entusiasmo. Love is Luck sta proprio lì a dirti “Fermo un attimo!”. Infatti da lì in poi il disco cala sempre di più, ma si sa: anche il paradiso dantesco è  il canto obiettivamente più palloso della trilogia, o no?

I The Walkmen al settimo album, capitanati da Hamilton Leithauser  non reggono, cadono in un qualcosa che sa di monotonia grigia, pesantezza e impreparazione stilistica, mischiata a dosi di noncuranza, a non sapersi rinnovare, e a non sapere equilibrare adeguatamente le sezioni strumentali.

Gli Eagles canticchiavano “Quando chiami un posto paradiso, digli pure addio” e noi prendendo esempio da questi ci lasciamo alle spalle questo capitolo deludente dei The Walkmen.