Jake Bugg – Jake Bugg

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Ritrovarsi a recensire un mio coetaneo mi fa un certo effetto, soprattutto se si tratta di un personaggio come Jake Bugg: uno di quelli che a diciott’anni sa già di uomo vissuto – nel passato – e che può permettersi versi come I drink to remember , I smoke to forget, senza rinunciare alla locandina pubblicitaria in cui, con un volto di tre quarti, ostenta sicurezza oltre a una sigaretta stretta sul petto, forse per rigettarti nell’animo l’immagine del rocker, quella figura che agli occhi dei più sta scomparendo, un po’ alla Nick Cave, un po’ alla Dylan.

Il Nostro è il classico cantautore inglese, seppur le influenze americane si facciano pesantemente sentire, quello che stringe tra le sue braccia i più bei fiori che la scena folk-rock ci abbia mai lasciato: Donovan, Bob Dylan, e, anche se vicino a questi due stonano un po’, gli Oasis.
E allora ecco la sfilza di rimandi: Ballad of Mr Jones e Slide suonano come i migliori plagi che i fratelli Gallagher facevano ai The Beatles; Country Song sa di The Freewheelin’ di Bob Dylan, con l’unica differenza che Dylan, con le sue corde vocali che sembravano fragili quanto i più sottili e dorati capelli di donna, riusciva a evocare sensazioni che tutti i menestrelli, con le loro sei corde, non riusciranno mai più a far nascere e tantomeno a provare personalmente.

Di pezzi buoni, in quest’esordio ce ne sono, anche perché altrimenti non si spiegherebbe il successo alla BBC: Lightning Bolt, dal ritmo trascinante; la lenta e dolce Simple As This; o Seen It All, forse il pezzo più bello del disco, dove l’intro di chitarra si fa travolgente in tutto l’andamento del pezzo.
Però, contestualizzando questo disco ai nostri tempi, bisogna notare che il cantautorato ha preso direzioni ben diverse da quella proposta dal giovane Bugg. L’ex Smog, Bill Callahan, o Josh T. Pearson ne sono un meraviglioso esempio. Perché quando ascolto Sorry With a Song, Drover o Heart of Gold mi viene da piangere? Cos’hanno di più quei cantautori? Che sia l’esperienza, quella che manca a Jake? O, come ci ha tristemente dimostrato Elliott Smith, solamente tristezza? Io non lo so. So solo che Jake Bugg sembra attraversarci indifferentemente, come un fantasma. E, in effetti, lui lo è davvero un fantasma: è lo spirito dei più grandi cantautori vissuti. Ma in quanto spirito, lui le esperienze umane le sorvola, non le vive e sembra non riesca a trasmetterle. Per questo, i quasi 40 minuti del disco mi hanno attraversato lasciandomi davvero pochi episodi in grado di emozionarmi.