Un Sabato al Festival Beat di Salsomaggiore Terme

festival beat flyer

Salsomaggiore esercita tuttora un fascino particolare. Qualcosa di certamente diverso dallo sgomento che ad inizio novecento poteva suscitare la vista delle monumentali Terme Berzieri – imponente edificio termale capace di fondere nei suoi fregi influenze artistiche distanti fra loro come: Déco, Liberty e arte orientale. Prendendo in prestito le parole di una cara amica: siamo al cospetto di una di quelle signore attempate ma ancora bellissime, che usa con eleganza un velo di cipria in ricordo della bellezza che fu, e che per molti aspetti ancora permane. Come in un perfetto vademecum vacanziero, il popolo Beat si muove regolare negli appuntamenti fissi e teneramente sregolato nelle pose. Fino al momento del concerto, la sera.

Navette spaziose assicurano ogni 45 minuti l’andata e il ritorno dal mondo dei balocchi. Un microcosmo fatto d’amore e Psichedelia, che cela al proprio interno una passione indissolubile per la musica. Infatti, la zona concerti presenta per l’occasione svariate postazioni di vendita a tema: dal tanto amato vinile al vestiario, fino ai poster e all’oggettistica vintage. Tutto a portata di birra, ovviamente.

Ritroviamo on stage la sorprendente Elli De Mon, con la quale abbiamo già scambiato qualche battuta tempo fa in merito al suo ultimo e bellissimo lavoro “II“. La Vicentina conferma quanto di buono sentito su disco, dando sfoggio di una personalità fuori dal comune – e ce ne vuole per tenere un palco come quello da one girl band.  Il pubblico apprezza e passa al banchetto del merchandising. Un pubblico che in gran parte attende con desiderio e curiosità la band di Luca Re, che abbiamo intervistato a Maggio, ovvero i Sick Rose. Il combo Torinese, fra i massimi esponenti del Garage-Punk nostrano, si presenta come di consueto carico fino all’orlo di energia e anthem psichedelici evidenziati dalla dinamicità del proprio frontman. E’ l’anno del trentennale di quel capolavoro che risponde al nome di “Faces” – di cui non risulta difficile trovarne una copia all’interno della manifestazione, tanta è la richiesta –, e l’esibizione ne presenta svariati episodi.

Altro giro ed altra gloria di genere. Parliamo di Kid Congo, all’anagrafe Brian Tristan. Per chi non lo conoscesse (male) fu membro di band del calibro di Cramps, Gun Club e Nick Cave and the Bad Seeds. Dal 2005, insieme ai suoi The Pink Monkey Birds, ci delizia con la summa di una vita da musicista. La grandiosa In The Red comprende fin da subito il potenziale e da “Dracula Boots” (2009) ne produce le avventure sonore. Sul palco, il nostro lascia trasparire tutta la grandezza insita nei riferimenti ad un passato indelebile per noi e per la storia della musica. Non mancano le consuete cover dei Gun Club che infiammano un pubblico attento e reattivo.

Dalla Scandinavia chiudono i leggendari Nomads, giunti in Emilia con al seguito una nutrita frangia di supporters dalla cultura decisamente obliqua – a chi vi scrive è bastato indossare una maglietta dei Kvelertak per beccarsi birra e abbracci a profusione, finendo poi come di consueto sull’argomento Turbonegro.

La band Svedese, nata agli albori degli eighties, è stata d’ispirazione e d’esempio per tutta una schiera di formazioni recenti che decine di anni dopo cominciarono ad approcciare alla materia Garage mantenendo ben saldi quei riferimenti musicali insiti nella terra dei Vikinghi. Garage Culture in evoluzione che alla Psichedelia unisce l’Hi-Energy Rock’n’Roll; roba fantastica che dai primi due mini smaccatamente Sixties addicted (“Where The Wolf Bane Blooms” e “Temptation Pays Double“) s’irrobustirà sempre di più, fino a full-length del calibro di Hardware (1987) e Sonically Speaking (1991) capaci di implementarne la vena Hard.

Sul palco i Nomads mantengono fede alle aspettative, mentre fra il pubblico dalla birra si è passati al Rum e la notte promette scintille da smaltire poi in qualche alberghetto limitrofo; da soli o in compagnia, quando ormai l’alba sarà già sorta.