Democrazia #2 – Tigers of Mompracem – Dr. Panico – F. Avvantaggiato

Lo sapevamo già, non c’era bisogno di farcelo notare, grazie comunque per la segnalazione: DemoKrazia (con la K) è stato il nome della storica rubrica di recensioni demo di Rumore, tenuta da Luca Frazzi, ad oggi bella che morta. In ogni caso, brutti malfidati, abbiamo chiesto il premesso allo stesso Frazzi per poter utilizzare il nome ed abbiamo avuto il via libera. Basta cincischiare, dai che si va ad iniziare.


La pila di buste gialle sta lì, fissa sulla scrivania e mi guarda e a mia volta ricambio lo sguardo con sospetto. Quando inizia ad essere strabordante allora la sua presenza si fa insistente, i demo sono lì che aspettano di essere ascoltati quindi orsù infiliamo con coraggio ed un pizzico di incoscienza la mano fra i pacchetti ed estraiamo i fortunati che ci allieteranno/tritureranno le orecchie per questa seconda puntata.

Il primo lavoro che estraggo dalla pila dei miei demo tuttigusti+1 (mi piace chiamarla così, pensando alle caramelle di Harry Potter) è il primo lavoro dei Tigers of Mompracem. Milanesi, multietnici, in power trio, snocciolano un garage di stampo british che sa di fumo, birra e sudore. Di sicuro la cosa che più mi colpisce è la sensazione che portano con sé in queste canzoni urlate, sature e distorte: sanno di band genuina, come non ne sentivo da un bel po’, e di questi tempi in cui devi difenderti la coscienza da tutti i poser del cazzo che suonano solo per il gusto di sbattere in faccia alla gente quanto sono fighi, queste tigri all’ascolto mi mettono proprio a mio agio. Due osservazioni però: “Mono Resolutions” unico pezzo non urlato del cd soffre di una performance vocale peggiore, è cantata con voce fessa ed il ritornello ne soffre moltissimo. In più la registrazione non è di grandissima qualità e la presa diretta comunque non giustifica certe pecche nella produzione, un lavoro migliore avrebbe potuto di sicuro mettere in risalto il groove e la crudezza del suono che invece si perde in momenti di equalizzazione piatta. Comunque fossero tutte così le band in Italia, forse potremmo iniziare a parlare di una scena rock come si deve.

Passando al cd successivo, la sola visione del nome dell’artista mi fa sudare freddo: Dr.Panico in effetti è uno di quei nomi che mettono ansia all’idea di schiacciare play, il trash è sempre in agguato. Un intro elettronico degno della sigla di un cartone animato non mi tranquillizza ma andando avanti nell’ascolto diventa più chiaro tutto: a cavallo fra Tricarico ed Io, Carlo, questo Dr. Panico è un cantautore che ha qualcosa da dire e lo fa anche in maniera non scontata, anzi, a dir poco provocatoria dal punto di vista musicale. Reggae, elettronica acida, chitarre acustiche, a volte anche soluzioni un po’ esagerate (di sicuro un pubblico più mainstream non lo capirebbe), eppure tutto questo un suo senso ce l’ha. Mi sento di consigliare questo cd, “La classica scena in cui moriamo” a tutte quelle persone che hanno bisogno di disintossicarsi da un cantautorato (anche se qui si va ben oltre) pretestuoso come quello de Le luci della centrale elettrica. “Portami via eutanasia” potrebbe benissimo eterzssere un brano degli Ustmamò, per i nostalgici del genere, con un tocco di non-sense.

Terzo ed ultimo per questa sessione di ascolto è il lavoro di Fabrizio Avvantaggiato. Anche se mi è arrivato sotto il nome di “The end (a lo-fi demo)” c’è da dire che di lo-fi qui dentro non c’è nulla anzi, la qualità delle registrazioni è da album ufficiale! Da una parte complimenti per la produzione, fossero tutti così i demo non dovrei ribadire in continuazione il concetto che le buone idee registrate di merda al limite sono una “buona merda” e non molto di più, dall’altra mi fa un effetto strano dovermi confrontare con qualcosa che è presentato così invece è totalmente cosà, credo sia anche importante per un artista saper presentasi in maniera aderente alla musica che propone, no?. Quattro pezzi: 2 in italiano, 1 in inglese ed 1 in dialetto. E poi nel brano “Decadente” ci sta rock italiano (di quello che difficilmente tornerà in auge), poi un’apertura pop italiano alla Niccolò Fabi ed una variazione prog (!!!). Nella mia testa la scelta è fra artista “eclettico” o “confuso”. Ti senti Max Gazzè o ti ispiri ai Dream Theater? Il rischio per questi ibridi è altissimo: oltre che suscitare nel recensore il sospetto che l’artista voglia un po’ andare a parare a destra e a manca in maniera un po’ qualunquista, la cosa peggiore è che l’ascoltatore medio amante del prog non apprezzerà le parti pop e viceversa, così come chi ama il rock in inglese non sarà entusiasta di un brano in dialetto ed in generale non troverà il nesso che giustifica tutto ciò. Il mio consiglio è mettersi in testa idee chiare e seguire una strada sola, nitida, personale e senzamiscugli.