Neapolis Festival @ 9 e 10 Luglio 2011

Il Festival nella sua veste più completa. Più radicale e ad effetto.

Parcheggio la macchina in una vasta landa di terra battuta. La gente comincia ad aggregarsi vicino a stand, tendoni, spalti.

Ma la verità è sul palco. Un pigro pomeriggio per qualsiasi anima che ha aderito al lassismo del nostro paese. Un’assolata piazza che spara note pompate in analogico per chi ha davvero un contatto con la musica.

Il gruppo di apertura sono gli Shak&Spears, nuovo gruppo del front-man degli El-Ghor. Spuntati dall’oasi musicale di Pompei, hanno vinto il contest per suonare sul palco del Neapolis, ma si comportano come dei veterani arrivati con l’unica intenzione di far saltare il pubblico. E ci riescono, almeno con me.

La line-up quest’anno ha i controcazzi. Il primo giorno ci sono gli Architecture in Helsinki [vedi le foto], i Mogwai [vedi le foto] (affezionati all’Italia e che si esibiranno in modo tiepido come l’accoglienza riservatagli dal pubblico dell’Acciaieria Sonora), e per i nostalgici del 1999, gli Skunk Anansie [vedi le foto] in chiusura.

Gli Architecture eseguono una performance che viene ballata da un terzo de pubblico, mentre la folla restante non vive con partecipazione il momento.

Il gruppo electro-pop nordico è lì a fornire la sua musica nel mondo più accessibile possibile, ma la gente non vuole provare lo sforzo di aprirsi.

Solo critiche per la prestazione annullata dei Marlene Kuntz, il gruppo meno interessante di tutto il festival.

La sera c’è fermento. La gente comincia ad ammassarsi contro le transenne. Gli Skunk sono arrivati. Hanno più di 40anni, tornati con nuovi brani per pagare gli appartamenti a East-London ai figli adottivi. Rifiutano un’intervista della RAI e si recano verso il palco. Io nel backstage li guardo passare da vicino. Stringo la mano al bassista augurandogli una buona serata in francese (l’alcool fa fare cose strane). Li scruto abbastanza da vicino. Post-Orgasmic Chill li aveva consacrati come miei idoli alle medie, nonostante il metal che pompavo nella mia testa quotidianamente. La rabbia di una bisessuale della periferia inglese. Adesso, mi accorgo, morta. Dieci anni dopo. Dopo una carriera solista ridicola.

Salgono e fingono la rabbia, davanti ad un pubblico giunto lì solo per loro. Un pubblico che non merita nient’altro che prestazioni finte di vecchi idoli in decadenza.

Il secondo giorno sono eccitato. Non solo sessualmente, come mio solito, ma anche nelle sinapsi più filogeneticamente ataviche del mio organismo, quelle che collegano la mia finitezza mortale con l’iperuranio di perfezione proveniente dal mistero del cosmo, dei simboli, della musica e delle vibrazioni delle forme.

Suoneranno i Battles [vedi le foto], band cardine della sperimentazione 2.0, musica del 21esimo secolo inaspettatamente nata dal post-rock e da esasperazioni math.

Mi aspetto il loro trionfo. Il pubblico è felice, ma non abbastanza da dimostrare di aver capito il miracolo degli organizzatori. Suonano anche i pezzi del primo album, nonostante il loro atteggiamento restio a rivisitare il passato (intervistarli è come rasarsi il pube con una sega elettrica).

Le linee vocali campionate sono accompagnate da proiezioni di visual-art, immagini mixate dei musicisti che hanno collaborato con il terzetto per il nuovo disco e squarci di evaporazioni allucinogene.

L’ora di Ian Williams e soci sul palco è la ciliegina su una giornata soddisfacente, dopo i New York New York, altra band vincitrice del contest nonché portatrice di sana elettronica, e i Crocodiles [vedi le foto] che hanno fatto emozionare con riverberi e galoppate liberatorie nonostante il ridotto numero di persone sotto il palco.

Poi gli Hercules and Love Affair [vedi le foto] che mi lasciano sbalordito, facendomi sentire come un bambino che non capisce un cazzo, suonando ininterrottamente fino al calare completo del crepuscolo come i migliori Talking Heads, dimostrando un calore di cui ho sempre fortemente dubitato.

A chiudere i due giorni di concerti, gli Underworld [vedi le foto], idoli dei discotecari e dei fanatici di Trainspotting. Il duo terribilmente patinato attira la maggior parte del pubblico delle ultime 24ore. Ennesima dimostrazione che l’unico punto debole del festival è il dovere di adeguarsi ad un pubblico locale che in altri paesi è già roba da museo.

Prestissimo su Rocklab.it, interviste video e non ai: Battles, Architecture in Helsinki, Crocodiles e molti altri… rimanete collegati

Foto di Antonio Siringo