Entrando nell’arena concerti della fiera di Rho il colpo d’occhio è inquietante: sembra che tutti i nostalgici degli anni ’90 si siano dati convegno qui, sotto il piacevole sole dei primi di giugno a tributare onori ai propri anni dell’adolescenza. Magliette d’epoca e qualche capellone la cui chioma resiste imperterrita al passare delle mode e degli anni completano il quadro.
La scaletta dell’evento, mezzo festival e mezzo concerto, vede avvicendarsi sul palco Triggerfinger, The Gaslight Anthem, gli riuniti Afghan Whigs (con un Greg Dulli dimagrito e in gran spolvero), una performance al fulmicotone dei Refused, e infine, alle 21:30 i tanto attesi Soundgarden, che mancano in Italia da circa sedici anni. Concentriamoci sulla loro performance.
Attitudine e Visual: Chris Cornell è sempre lui, magro e atletico come non sentisse nemmeno i suoi cinquant’anni ormai alle porte, con ancora buone cartucce da sparare. Chi se lo aspettava sporco e cattivo si deve ricredere: maglietta bianca e giacchetta. Ma alla fine chi se ne frega. La sua performance sul palco è credibile, solida ed energica come era lecito aspettarsi, forse di più. Ed è anche incredibilmente sicuro delle sua capacità vocali, cosa che preoccupava maggiormente i fan di lungo corso. Meno in forma dal punto di vista estetico Kim Thayil, panzone e con uno zuccotto calato in testa con tanto di coda di cavallo brizzolata. Il risultato è più vicino a un vecchio pescatore che a un rocker d’annata. Matt Cameron è invece sempre lo stesso, la solita macchina da guerra ritmica travestita di modestia, faccia da eterno ragazzino e potenza assassina. Dietro di loro un telo con il logo dei Soundgarden altezza Badmotorfinger, che all’occorrenza diventerà uno schermo per proiettare alcuni visual e l’immagine di un occhio semovibile. Impianto luci faraonico da manuale, ma… Ecco, tutto è in stile con il revival di quegl’anni in cui era la performance a concentrare l’attenzione del pubblico, e non il contorno.
Audio: ottimo e coinvolgente, volumi a cannone e bassi direttamente sparati in pancia, come dev’essere. La notizia vera è che Cornell vocalmente sta benone, si spara anche diversi acuti prolungati non richiesti, e si prende il lusso di giocare col pubblico con dei vocalizzi botta e risposta, spingendo le sue corde vocali sempre più alto, finché il pubblico non desiste (e allora Chris sorride sornione, accennando un applauso di sportività). Matt Cameron è il vero vincitore della serata, una bastonata che trascina con sé tutta la band, che dal canto suo risponde granitica e convincente. Fossero tutti così i concerti, ci sarebbe da godere.
Setlist: tutto quello che coloro che erano lì sognavano di ascoltare. Praticamente un “best of” della band, che ha come punti cardinali Badmotorfinger e Superunknown, con qualche puntata in territorio Louder Than Love e qualche altro brano spaiato: Hunted Down, primo singolo della band del 1987 ricomparso sulla recente raccolta Telephantasm, e la mediocre Live to Rise, estratta dalla colonna sonora del film The Avengers.
Ma lo show è tutto un susseguirsi di vecchie conoscenze. Risentire tra le altre Gun, Fell on Black Days, My Wave, The Day I Tried To Live, Outshined, Rusty Cage, Jesus Christ Pose, 4th Of July ed una prolungata Slaves & Bulldozers non ha prezzo. Anzi ce l’ha, ed è alto, ma in fin dei conti non si esce insoddisfatti. Da segnalare una Black Hole Sun eseguita dalla band con le proverbiali “palle in mano”, ma alla fine li si può ben capire.
Locura: sul palco poco da segnalare. A pochi passi da chi scrive però, un vecchio fan mostrava impudente il dito medio in faccia Chris durante l’esecuzione, evidentemente non gradita, del singolone commerciale Live to Rise.
Pubblico: scegliete tra queste parole – attempato, nostalgico, devoto. Pochi i ragazzini, moltissimi i trentenni e all’occorrenza anche i quarantenni, com’è logico che sia. Non molto numerosa l’affluenza nel pomeriggio durante le performance dei gruppi di apertura, complice il lunedì lavorativo (lo stesso Greg Dulli dal palco esprime la sua perplessità sulla scelta del giorno, notando evidentemente un parterre non molto gremito per un festival). Il pubblico è decisamente rinfoltito e caldo quando salgono i Soundgarden. Non basta comunque a riempire la sterminata arena: il prezzo molto alto del biglietto ha sicuramente influito.
Momento migliore: l’inizio del concerto, Searching with My Good Eye Closed in doppietta con Spoonman sono un uno-due che ti rigetta in quel mondo di ascolti su walkman a casetta, quando sognavi Seattle sull’autobus per andare a scuola. E da lì è finita: sei in piena modalità revival. Sabato al mercatino dell’usato, domenica a fare i compiti con il mal di testa della sbronza della sera prima. Sperando che lunedì la prof non interroghi.
Conclusioni: Una reunion non motivata esclusivamente dal denaro, ma anche da percepibili motivazioni di sentimento e di pancia. L’effetto è di una band in forma, che ha voglia di suonare e di stare sul palco, ed è rassicurante. Qualche incertezza la si prova quando Chris Cornell annuncia il nuovo album ad ottobre. Si teme il peggio: se la colonna sonora di The Avengers è il buongiorno, allora sarà certamente una brutta giornata. Speriamo di essere smentiti da un disco che non rovini il ricordo di una band dalla discografia quasi impeccabile.
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Foto di Federico Tisa