San Miguel Primavera Sound 2012 – Giorno 2

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Barcellona si risveglia stanca e beata, Maggio si ritira e anche per l’enorme edificio triangolare, che con le sue geometrie accompagna il confluire delle tre grandi vie laterali nella piazza del Forum, è tempo di scoprire il piumino. Il soffitto stellato illumina la platea prima di concentrare luce ed energia sulla bionda chioma di Laura Marling. L’orchestra alle spalle accompagna il racconto malinconico di amori, demoni, rabbia e desideri di una giovane donna la cui poetica inebria e zittisce la sala.

La nebbia e il folklore si diradano fin sotto le pendici del San Miguel, il vento soffia dal mare e accompagna le ballate barocche degli Other Lives; Jesse Tabish inspira profondamente ad occhi chiusi e libera le fiere addomesticate di “Tamer Animals” nell’aria, tamburo e viola seguono il volo e conferiscono carattere epico al tutto.

Sole e bouquet floreali attendono invece i Girls che portano in scena “Father, Son, Holy Ghost”: non un racconto biblico, ma una piccola enciclopedia tascabile del rock in cui soul, doo-wop, hard-rock e indie-pop dialogano civilmente senza fare a cazzotti tra loro. Il duo californiano non risparmia “Lust For Life” e pezzi più vagamente lo-fi del primo album che oggi vengono riproposti con tanto di band e coriste al seguito.

La programmazione serrata del Primavera non concede un attimo di tregua ai consumatori seriali  di musica; nei rari momenti di relax, o meglio rehab, ci sono le birrette lungomare e gli scorci sulla città che compensano la mancanza di prati.

Il piatto forte della serata è di produzione antica e occorre verificarne la commestibilità. Sugli accordi di “Plainsong” i riflettori illuminano il cerone di Robert Smith e il concerto dei Cure può cominciare. L’arena San Miguel contiene a stento l’enorme ressa di pubblico e sorge spontaneo chiedersi perché l’esibizione non sia stata programmata in altri scenari dove la capienza è decisamente maggiore.  La lunga parata è rinvigorita di tanto in tanto dai grandi successi e di certo non manca il tempo per festeggiare le cinquantadue primavere di Simon Gallup sulle note finali di “A Forest”. Quasi tre ore in tutto, troppe per chiunque figuriamoci per il re dei cazzoni che pianta grane in giro per il mondo sotto il nome di Wavves. Nathan Williams non sa suonare e non se ne preoccupa; dal vivo distrugge quel poco di buono che ha costruito in una manciata di album ed ep tutti venerati da Pitchfork. “King Of The Beach” anima i giovanissimi sotto palco che accennano al pogo: pratica non vietata, ma sicuramente inusuale in un festival che indossa le parigine ai piedi.

La festa inizia e prosegue quando giochi di luce e lampi accecanti accompagnano l’ingresso dei francesi M83 sul Mini Stage. La svolta electro dei fratelli Gonzalez è ormai assodata e l’esibizione segue uno schema abbastanza standardizzato che alterna momenti di pausa a ripartenze repentine che esplodono nel frastuono colorato dei sintetizzatori e infiammano il pubblico; chi sperava nel dream-pop tirato e nello shoegaze degli esordi rimane deluso, ma i più alzano le braccia al cielo e si lasciano trascinare nei ritornelli di “Reunion” e “Midnight City”.

Da Antibes a New York il dance si tinge di p(f)unk e i Rapture cavalcano l’onda DFA di “In the Grace of Your Love” sfruttando la scia ritmica di “House of Jealous Lovers” e “Can I Get Myself Into It”  prima di portare a riva la seconda giornata. Tutti sani e salvi.

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Foto di Daniele Bianchi