Cervello nel presente, cuore nei Seventies: The Widowspeak

Estetica Seventies Folk/Rock e freschezza neo-pop. Dietro la sigla Widowspeak ci sono Molly Hamilton e Robert Earl Thomas, veri nostalgici di un modo di intendere l’arte appartenente a qualche decennio fa,– per intenderci,  gente che adibisce fienili centenari per centrare il giusto sound –. Editi dalla Captured Tracks compongono quel battaglione di band “scelte” dalla label di Brooklyn per speziare con maestria non solo il proprio catalogo, ma l’intero panorama musicale. Almanac il loro secondo lavoro, è appena uscito, cogliamo dunque l’occasione per fare due chiacchiere.

Inizialmente il concetto alla base di “Almanac” fu quello di tradurre il sentori apocalittici percepiti nella prima parte del 2012, cosa è successo poi?
R: Mentre “Almanac” fu concepito nel clima di apocalittica superstizione dello scorso anno, la sua composizione crebbe in maniera più ampia in studio. Ci siamo mossi dal concetto di “Fine del mondo “ per osservare la natura mutevole di tutte le cose. Forse il mondo non finirà, forse questo non accadrà ancora per molto tempo, ma questo non vuol dire che sia sempre lo stesso.
M: Io fui inizialmente ispirata dal concetto di fine del mondo, anche se questo diventò la scusa per la fine di molte altre cose. Il mondo non finì, ovviamente. Ma le cose stanno cambiando, ed una parte dell’album offre un’idea nostalgica del passato, provando a navigare il presente.

Per me, Almanac è un Ode alla natura ciclica della vita.
R: Almanac potrebbe benissimo essere concepito come un inno alla ciclicità della vita. Tuttavia a patto che la parola “Ciclicità” non intenda suggerire che sia semplicemente sufficiente ripetere le nostre esperienze ( Anche se spesso accade). Piuttosto “Almanac” esplora la costanza con cui le idee, i rapporti interpersonali, e praticamente tutto cio che ci circonda, vengano sottoposte a rinascita.
M: Io mi riferisco sicuramente al ciclo del mondo naturale nei miei testi, specialmente in “Perennials” che è una sorta di pietra angolare per l’intero album. Distruzione e morte sono necessarie per far accadere cose nuove, differenti.

Robert, è percepibile nel tuo suono una forte influenza Morriconiana, cosa ti piace del maestro Ennio?
R: Ennio Morricone ha eseguito splendide composizioni per il cinema. La teatralità di quei film ha certamente influenzato i  Widowspeak, cosi come le sue parti di chitarra. Ma quello che più mi piace della musica di Morricone è di come riesca a catturare la personalità dei cowboy del deserto. Essa si pone come un testamento sulla piccolezza del mondo.  Il deserto mantiene il suo vocabolario arido dovunque sia.

Attualmente Elizabeth Fraser (Cocteau Twins), è nel tuo Ipod, Molly?
M: Attualmente no, anche se mi piace molto quello che ho sentito dei Cocteau Twins, è una band in cui ancora non mi sono immersa. Sono un’abitudinaria e tendo ad ascoltare un album più e più volte, mi ci vuole molto tempo per far crescere un album o un artista dentro di me. Per esempio, ho ascoltato Moon Pix di Cat Power  più di qualsiasi altro album con voce femminile , e lo amo da più di dieci anni. Gli altri miei ascolti spaziano dal Blues al Rock’n’roll.

La copertina mi ricorda una certa estetica adottata dalle band psichedeliche negli anni Settanta, vi sentite connessi a quel periodo?
R: Gli anni Settanta sono stati una grande influenza per Almanac, adoro quel decennio musicale, anche per i colori e per la moda. Il rock dei Settanta è stata la più grande influenza con cui sono cresciuto, e quando arrivò il momento di fare qualche esperimento per il disco,  mi accorsi che quel suono era parte di me. Contemporaneamente posizionai i Widowspeak in un’estetica Seventies fin dalla copertina dell’album. La copertina apribile, le fotografie ed i caratteri lavorati sono ispirati al Rock/Folk di band come: Crosby Stills & Nash e Neil Young.
M: Per quanto riguarda le immagini, possediamo una specie di simpatia collettiva per i Seventies, ed è stato un fattore determinante per la composizione della copertina. Noi volevamo che trasmettesse un sentore “Pastorale”, che ben descrivesse il clima dell’album. Mi piacciono un sacco di film dei Seventies, specialmente quelli di  Terrence Malick, mi piacciono fotografi come David Hamilton, il folk e la psichedelia. È sicuramente un decennio con cui mi sento connessa.

Il trucco sta nel registrare in un fienile centenario?
R: Vivere e registrare in un fienile secolare ha davvero settato il “Tono” di Almanac. Sapevamo di voler registrare in un ambiente naturale, una sorta di ritiro spirituale. Ecco qui riemergere nuovamente gli anni Settanta, dato che molti dischi ci piacciono sono stati registrati in condizioni simili.
M: Il fienile è servito anche per tenerci ben concentrati sul nostro lavoro. Costantemente a parlare, pensare e riascoltare i nostri brani. Sembrerebbe che l’album sia il distillato di questo mese d’esperienza.

Il catalogo Captured Tracks è molto omogeo, come ci si sente a lavorare con loro?
R: La Captured Tracks è una label fantastica che ci ha permesso di crescere. Ci anno reclutati come una band in erba e spronato nel fare tutte le scelte artistiche che volevamo. A volte ci sentiamo un’ po’ fuori luogo leggendo il loro rooster, ma col passare del tempo sembra sempre più difficile dare una classificazione stilistica dell’etichetta.
M: Penso che tutte le band sotto Captured Tracks abbiano la propria personalità stilistica. L’unica cosa che credo sia comune a tutte le band è una certa estetica “Vintage” adottata per esprimere idee attuali.

A mio parere Widowspeak, DIIV, Wild Nothing, Soft Moon, stanno creando una scena all’interno della Captured Tracks, voi cosa ne pensate?
R: Può essere che si stia formando una sorta di scena, ma è più legata al gusto della Captured Tracks. Saimo tutti uniti sotto un unico ombrello.
M: La Captured Tracks possiede un gran catalogo, e ci piace far parte di esso. Stanno scommettendo su diversi dischi. E’ eccitante.