Kvelertak @Bronson, Ravenna – 23.11.2016

Abbiamo parlato più volte di come la cultura nordeuropea riesca nell’intento di rielaborare certi dettami di genere ammantandoli con la propria estetica. Se pensiamo alle uscite annuali, vi sarete resi conto di come questo accada fin troppo spesso – nella quasi totale indifferenza nostrana. Mi riferisco alle uscite di band del calibro di Arabrot, Spiritual Beggars, Blues Pills, e appunto Kvelertak. Gruppi spesso capaci di partire da un presupposto – che sia l’Hardcore, il Post-Punk come il Blues – per poi ricamarci sopra con maestria la propria matrice. Roba che succede solamente se hai decenni di amore per il Rock alle spalle, e magari lo insegni nelle scuole dell’obbligo.

Molti vi diranno che è colpa dell’assenza di luce, del freddo, e del fatto che sono ai primi posti nella chart statistica delle morti suicide. Certo, il contesto geografico pone sicuramente il fianco ad un Burzum piuttosto che alle derive Surf-Rock: ma non credeteci comunque. Gli scandinavi sanno il fatto loro: e se non vi dicono niente le parole Turbonegro ed Hellacopters allora potete anche chiuderla qua. Va detto però, escludendo gli “Dei” citati pocanzi – qui una preghierina per il ritorno degli Hellacopters nel nostro paese la facciamo, si sa mai che qualche gestore illuminato decida di renderci felici come non mai –, che i Kvelertak rappresentano attualmente l’eccellenza di un comparto estremo non senza alternative di rilievo.

La band interpreta un meltin’ pot che abbraccia cultura norrena e science fiction, chitarre Heavy e Growl Black, il tutto mantenendo inalterato quello spleen Rock’n’Roll che in certi passaggi si rende quasi devozionale nei confronti della band di Happy Tom & Co. – ed in sede live, la supera addirittura. A quanto pare tutto questo non è stato recepito a pieno dalle nostre parti – o meglio non interessa –, vista la scarsa affluenza per una data unica nel nostro paese: al Bronson va tutta la nostra gratitudine per averci regalato una botta di vita non indifferente.

Per chi vi scrive, si tratta del concerto dell’anno. Nessuna esagerazione, sebbene talvolta le componenti esterne al palco (il pubblico) possano giocare un ruolo fondamentale nella crescita dello show. Questo non per i sei ragazzi nordici.  Tutto è organizzato a meraviglia. Dall’allestimento del palco – che presenta sullo sfondo la cover del nuovo lavoro in studio –, alle luci pronte ad enfatizzare i passaggi più serrati delle percussioni. Uno stage bello saturo, fra casse acustiche, gufi (la nota mascotte della band) ed un solo dominatore: Erlend Hjelvik. Il frontman dei Kvelertak mette fin da subito le cose in chiaro, presentandosi in scena nella classica versione sciamanica – facilmente riconoscibile per via dello sgargiante cappello-rapace.

E’ lui il vikingo che ipnotizza (il pubblico) e colpisce durissimo. Mentre alle sue spalle agisce una band impeccabile che spesso da l’idea di poter manipolare l’Heavy a proprio piacimento. Come stregoni glaciali rilasciano tonnellate di magia (e watt) su di un pubblico ormai imbrigliato dal crescente e poderoso sortilegio sonoro.

Kvelertak Setlist Bronson, Ravenna, Italy 2016

Molti brani tratti dal nuovo “Nattesferd” – su tutti il singolo “1985” che live assume la portata dell’anthem –, e presenti tutte le bordate che li hanno resi famosi in passato: dalla mitica “Mjød” a “Bruane Brenn” passando per Il Punk-Rock di “Blodtørst” e terminando con la traccia di chiusura del secondo lavoro (Meir) “Utrydd dei svake“.

Dopo il concerto li abbiamo seguiti in camerino: chiacchiere, birra e sigarette. I Norvegesi sono gente simpatatica, ma non chiedetegli mai quale sia la loro band preferita, la risposta è davvero scontata.