Democrazia #16 – Tomakin – Redroomdreamers – 7 Training Days – Lichties

Estate, periodo di festival!…finiti abbastanza male. Sarà un caso, ma questa stagione 2011 sembra stia mietendo vittime fra organizzatori e promoter, insomma decisamente tempi bui per i concertoni in giro per l’Italia: partendo ormai dallo storico Heineken Jammin Festival, che ogni anno registra un calo sintomatico delle affluenze, in contemporanea col sistematico aumento del prezzo del biglietto e l’ormai tradizionale giornata dedicata al cul(t)o di Vasco, le notizie che arrivano dai festival sparsi per la penisola non mostrano per niente una situazione rosea. Per esempio, Italia Wave si è concluso con una bagarre a colpi di Facebook fra gli organizzatori e gli esponenti del Comune e della Regione, a causa della scarsissima vendita di biglietti e conseguente bassa presenza di pubblico, che ha portato ad un’inevitabile chiusura del bilancio in rosso per la manifestazione (la Regione Toscana aveva tolto l’appoggio finanziario al festival, accusandolo di portare nella propria terra un torpedone di fricchettoni, ma a quanto pare si profila a questo punto l’esistenza di ben altre motivazioni, di carattere molto meno etico e più monetario, per lo scaricamento del festival al miglior offerente). Tempi duri anche anche per il Flippaut Alternative Reload di Vigevano, che poteva vantare di aver fatto un affare accaparrandosi gli Strokes in saldo (spostati da Milano alla stessa Vigevano a causa della scarsissima prevendita di biglietti), ma è riuscito a rovinare tutto con un impianto da festa della birra, che ha interrotto il concerto dei newyorkesi sul più bello per ben tre volte (dal canto loro gli Strokes, secondo la tradizione del three strikes you’re out, hanno deciso di interrompere il concerto dopo nemmeno quaranta minuti di scaletta). A volte invece è la proverbiale sfiga a metterci lo zampino: un nubifragio fa saltare buona parte dei concerti di Villa Tempesta (il festival de La Tempesta a Codroipo, UD) possibile che non si siano previsti dei palchi coperti in Friuli, regione non proprio baciata dal sole né proverbialmente asciutta? Scontato lo scaricabarile, meno scontata la beffa degli organizzatori: verranno rimborsati solo i biglietti NON strappati: se non c’eri, ti ridiamo i soldi, se c’eri, hai pagato e ti sei beccato l’acqua…ecco bravo, beccati pure st’altra doccia fredda. E per finire, se non è la pioggia, ma è il governo ladro, brutta notizia per chi voleva andare all’Here I Stay Festival in Sardegna: annullato a quattro giorni dall’apertura dei cancelli causa parere negativo della Commissione di Vigilanza locale, troppo impegnata per non presentarsi alle riunioni per decidere sul festival, ma non così tanto per dare l’avvallo invece al concerto di Paolo Fresu e la sua tromba: non c’è bisogno di dirlo, i poveri organizzatori sono stati decisamente trombati.

I primi della tornata odierna di recensioni sono i Tomakin, da Alessandria, con Geografia di un momento. Un album sulle prime molto pop e poco wave, che mi ricorda un periodo musicale a cavallo fra la fine dei ’90 e l’inizio di questi minchia di anni zero. Un po’ Plastico, un po’ Baustelle, questi viaggi geografici raggiungono la prima tappa interessante (ed un notevole cambio di registro) dal punto di vista sia musicale che di testo al terzo brano, Amore Liquido (brano migliore di tutto il cd), dove gli alessandrini riescono a far sentire i primi segni veri di uno stile personale, un brano in effetti coinvolgente e con un’interessante struttura, dove si inizia a sentire davvero l’importanza dei synth. E quindi si prosegue con Collasso, una canzone con un certo appeal grotesque (peccato solo per le controvoci che sembrano buttate un po’ là, insomma non bene interpretate né lavorate). Maree, che segue a ruota, è invece un brano con una certa intensità, forse un po’ spezzata dall’improvviso cambio di lingua sul ritornello (Battiato docet), ma regge bene la prova grazie ad una buona interpretazione del cantante dalla voce soffiata. In Joasia, tutta cantata in inglese, credo diventi ancora più evidente l’influenza del succitato Battiato nelle melodie del ritornello e nell’interpretazione, grazie anche ad una pronuncia piatta e senza accento della lingua straniera, tanto cara all’autore siciliano. Per Siero (featuring Garbo) e La ragazza di ponente ritorniamo decisamente su territori più pop, mentre in New Wave, manco a dirlo, ci rituffiamo di nuovo nella liquidità delle tastiere. Insomma questo avanti e indrè, questa corrente alternata di stili non mi ha particolarmente entusiasmato, come ascoltatore in un certo senso sono irritato da questa indecisione stilistica, ma è anche vero che questo album di debutto è un buon album di debutto: la sostanza c’è e l’ascolto mi ha lasciato l’impressione che ci saranno magnifiche sorti e progressive.

Serviti come secondo ci sono i Redroomdreamers da Napoli, che presentano Roosters on the Rubbish. Devo dire che la prima volta che ho ascoltato questo cd ero in macchina (i musicisti all’ascolto conosceranno il temibile rituale della prova-macchina) e l’impressione che avevo avuto non era stata di certo superlativa, mettendoci sopra oltretutto il fatto che il brano The Dog è anche un clamoroso plagio involontario di Going Nowhere degli Oasis, cosa davvero strana per un album che ha influenze decisamente più grunge. In realtà poi all’ascolto in cuffia ho capito che le casse della mia macchina non rendevano in parte giustizia a questo lavoro. Sicuramente è un album molto asciutto nel sound (in brani come About Your Dream si sente la mancanza di un’altra chitarra che riempia un suono altrimenti troppo sottile), ma come band credo siano riusciti a trovare un buon equilibrio stilistico, e per quanto scarni siano gli arrangiamenti in un certo senso funzionano, soprattutto abbinati a brani malinconici che potrebbero benissimo aderire a quella figura retorica anglosassone che è l’understatement: il ricorso a parole e concetti per difetto, che in questo caso diventa ricorso alla musica per difetto. Non è certo un lavoro originale questo qui, ma brani come Psychoterapy e la seguente Under Control sembrano adatti per un indolente ascolto pomeridiano e il tutto è scosso solo da una Candy Girl che sfonda la soglia dei sei minuti ma non riesce a reggerne nemmeno uno. Molto meglio Bye Bye e The Desert (che potrebbe essere uscita fuori da un album dei Pearl Jam). Se ne deduce che la band riesce a dare il meglio di sé su ballate e midtempo. Buona la produzione ed anche la performance vocale.

Rimaniamo sempre nel genere grunge per i 7 Training Days di Frosinone. In a Safe Place mi dà alla fine del primo ascolto l’impressione di un disco decisamente acerbo, che manca di intensità sia nella scrittura che nell’esecuzione. Sembra che gli strumenti suonino un po’ troppo scollati fra di loro e che manchi una certa pasta sonora che riesca a far aderire bene la voce agli strumenti: in due parole, sembra che suoni un po’ vuoto in certi episodi, in altri decisamente seduto. In a song e Secret Garden condividono lo stesso ritornello cantilenante, che  potrebbe essere però preso in un certo senso come la firma stilistica della band. Passano le tracce, il momento migliore lo incontro nel ritornello di Hole in the Ground, che mi ricorda un passaggio nello stile AOR della Dave Matthews Band ai tempi di Everyday: questa sarebbe un’ottima direzione da intraprendere per futuri sviluppi della band. Un lavoro troppo sottotono e ingenuo questo, da rivedere anche nella parte della produzione.

E adesso passo la parola al collega Viscardi che, vacanziero, si è buttato nell’ascolto del seguente cd per le sue pillole di saggezza:

Lichties – “Animalia” – Un ep di quattro pezzi che sembrano provenire direttamente dal passato o dal suo diretto revival di qualche anno dopo. Rock elettronico e new wave, una sorta di primo Battiato che picchia i Krisma mentre Camerini incontra i Bluvertigo. Pazzi, sfaccettati, in diversi casi ancora acerbi (la scelta dei suoni delle chitarre in generale, la batteria in Tacchi a spillo, la capacità di mettere a punto una canzone che sia davvero a fuoco al 100%). Se questo trio riuscisse a portare organizzazione e coesione nelle loro idee sarebbe una peculiare follia dada. Dopotutto “Ci sono alcune idee malsane e farle proprie non è un male”.