Nell’ambito della fruizione musicale online, è noto, il download selvaggio ha ormai lasciato spazio al più immediato e pratico streaming on demand. Il panorama di offerte è però decisamente vasto e frazionato: gratis o a pagamento, leciti o illegali, essenziali o ultra personalizzabili: c’è di che fare indigestione di bookmarks. Vediamo quindi di razionalizzare insieme e fare il punto sull’attuale situazione, passando in rassegna quelli che sono i principali attori della sempre più serrata “streaming war”.
I grandi assenti: Spotify – Pandora
Subito il boccone amaro, via il dente via il dolore: il servizio forse più completo ed efficiente, non è disponibile nel nostro paese: Sto parlando di Spotify, che offre streaming gratuito grazie ad inserzioni pubblicitarie, oppure con formula premium a pochi dollari al mese, ed è ormai diventato quasi ovunque la piattaforma più apprezzata ed utilizzata. Tranne che in Italia, ovvio.
Il modo di aggirare il problema c’è, mediante appositi software come Tunnelbear (visto in una precente puntata di Music Geek), ma di fatto una grossa porzione di utenza è tagliata fuori e soprattutto niente account premium, perché sono richiesti i dati personali.
Discorso analogo si può fare per Pandora, valida alternativa anch’essa preclusa da limiti geografici. Ringraziamo dunque le malsane logiche di mercato responsabili di questa situazione e passiamo oltre.
Last Fm
doveroso citarlo subito: ben più di semplice sito di ascolto, è stato il primo social network musicale completo. Possibilità di creare radio e playlist personalizzate, tenere traccia degli ascolti ed interfacciarsi con la libreria musicale del proprio lettore mp3, i suoi pregi. Qualità dei brani spesso mediocre, il grosso difetto. Qui da noi ha perso consensi nel momento in cui è diventato a pagamento. Non tanto per i 3 euro mensili richiesti, quanto per la disparità di trattamento nei confronti di Uk e Usa, dove è tuttora free. La cosa è risultata antipatica e molti assidui frequentatori hanno migrato altrove. Resta in ogni caso un buono strumento, che garantisce continuità e sicurezze in un settore decisamente effimero.
Deezer
è lo Spotify francese, lui sì disponibile anche in Italia. Libreria immensa (3,7 milioni di titoli), radio intelligenti, qualità dei brani fino a 320 kbps e profonda integrazione con Facebook: queste le peculiarità che lo rendono una testa di serie. Il tutto non è però gratis. L’offerta base prevede un costo di 4,99 euro al mese, ed esclude i dispositivi mobili. Per la versione completa servono 9,99 euro al mese. L’interfaccia è inoltre un po’ confusionaria al primo impatto e ci sono diciture in francese anche nella versione italiana, cosa che può infastidire. Gli manca ancora il giusto appeal, promosso con riserva.
Grooveshark
L’unico vero outsider, perché pur non avendo alcuna partnership discografica, riesce a sopravvivere ed evolversi. Sempre osteggiato per la sua legalità border-line, incrementa il suo database grazie agli utenti ed offre un servizio totalmente gratuito. Naturalmente la qualità è variabile e spesso le tracce vengono cancellate, per motivi di copyright o per decisione di chi le ha caricate. A parte questo, molti sono i vantaggi: possibilità di ascolto per album, playlist o radio, sincronizzazione dei brani via cloud, app per smartphone e funzionalità social. E’ il meglio che si possa chiedere se non si è troppo esigenti e non si vuole sborsare un euro.
Youtube e derivati
La piattaforma video Google powered non è strettamente basata sull’ascolto di musica, ma in realità viene utilizzata molto in questo senso. Anzi, molto è un eufemismo, perché i dati dicono che i video musicali su Youtube generano più traffico di tutti i principali servizi di streaming messi insieme. Le motivazioni? La grande popolarità del sito, la totale gratuità e la possibilità di trovare praticamente qualsiasi canzone, in ogni sua declinazione.
Gli artisti stessi stanno puntando sempre più sul mezzo, per la promozione dei nuovi album, la trasmissione di concerti in diretta e la gestione della propria immagine.
C’è anche il rovescio della medaglia, naturalmente: gli spot che introducono ai video, la qualità audio spesso oscena e soprattutto la costante incertezza di trovare ciò che si cerca. Le major discografiche hanno infatti a loro disposizione strumenti che gli permettono di bloccare qualsiasi contenuto reo di violare i copyrights.
Per quanto riguarda i derivati citati sopra, sono quei siti che sfruttano il database di Youtube per creare nuove modalità di ascolto e condivisione: è il caso ad esempio di Suonia.
Sono esperimenti spesso utili ed interessanti, ma con due difetti: ereditano le problematiche della sorgente e durano poco, perchè sempre osteggiati dalle discografiche.
iTunes Match e Amazon Mp3
Applicazioni molto comuni, che si differenziano dai precedenti per un sostanziale dettaglio: offrono lo streaming soltanto di mp3 acquistati o di cui si è già in possesso. Si tratta in pratica di clouding, che rende disponibile sempre e su ogni dispositivo, la propria musica. Nonostante iTunes disponga di uno store più vasto e di una piattaforma comune a vari dispositivi di sua produzione, Amazon offre un miglior rapporto qualità prezzo: a 25 euro annui è possibile caricare 250mila canzoni (10 volte il limite di iTunes Match) e i brani acquistati sullo store sono liberi da drm (diritti riproduzione meccanica) (diversamente dalle politiche Apple).
Con questo è tutto. O meglio, ci sono esclusi eccellenti come Mog, Rdio, Blip.Fm, Feezy e chissà quanti altri a me sconosciuti progetti che riconducono agli stessi scopi. Non me ne vogliano, ma qui si trattava di riconoscere e descrivere brevemente i capofila: tutto il resto è, nel bene o nel male, una loro conseguenza.
Tirando le somme, possiamo concludere con una sola certezza: la perfezione è ancora lontana dall’essere raggiunta. Ci sono lacune tecniche, problematiche funzionali e molti ostacoli legati ai diritti d’autore. La concorrenza in compenso è agguerrita e non passa giorno senza che nasca un nuovo servizio o vengano introdotte migliorie in quelli esistenti.
Presto dunque è ipotizzabile che potremo avere il miglior servizio al miglior prezzo. Anche se, per la natura stessa della rete, la soluzione definitiva, forse, non esisterà mai.
Fonti:
Wondermark.net
Wired.it