Primavera Sound Barcellona 2016 (1-2 Giugno)

primavera sound barcellona 2016
Il Primavera Sound ha la magia di saperti coinvolgere ogni volta che arrivi in città, e anche magari di strapparti di dosso quel pensiero noioso che troppo spesso si affaccia ultimamente alla tua coscienza, che la musica non abbia poi più tantissimo da dire in fatto di innovazione o di sorprese. E forse è vero, ma godersi quest’atmosfera ha da sempre un effetto rinfrescante e rinvigorente, che ti porti dietro e ti accompagna per un anno intero dopo questo “corso di aggiornamento”. Ed è soprattutto ispirante. Saper ispirare è privilegio di pochi, e in particolare di chi ha una poetica, e al Primavera tutto si può dire tranne di non averne una.

1 Giugno 2016

Oggi per esempio: giorno di apertura delle danze, ovvero il “prequel” di quella manifestazione che inizierà a tutta forza domani. Questa sera siamo in città, al “Primavera als Clubs”, ovvero il festival che si mescola alla club culture di Barcellona. E dunque tutti a prendere la metro, dopo il concerto gratuito degli Suede al Forum, fino al crocicchio della Paral-lel dove si confrontano tre sale, la Apolo, Apolo 2 e il BARTS (“il Barcellona Arts”), tre venues, tre teatri per la musica dal vivo, dove scegliere la propria strada, come da sempre si fa al Primavera Sound.

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La nostra scelta cade su Empress Of, nome d’arte dietro il quale si cela la newyorkese di origine honduregna che in tanti dicono essere l’erede di Björk, se non la cuginetta meticcia di Grimes. Gli highlights del concerto sono la buona capacità di tenere il palco, con una sorta di timidezza sublimata da parte della nostra giovane, di fronte a un parterre che ha in mente solo una cosa: ballare. Ed Empress Of li sa far ballare, perché ha dalla sua una sezione ritmica notevole, che con un set scarno ma efficace (synth + percussioni e un kit di batteria) che mescola pad elettronici a batterie acustiche in maniera creativa e sempre intelligente, generando soluzioni ritmiche sorprendenti, spaziando da richiami house a jazz. Punto debole del set sono la scarsa ricerca dei suoni sui synth ed un songwriting debole, che più che un’erede la rendono un’epigona delle due artiste sopra citate. L’impressione è di poca audacia, gioca troppo sul sicuro. Conformista, plana con grazia su schemi già rodati, quando conformista non lo dovrebbe proprio essere, anzi gioverebbe a distinguerla da paragoni e presenze fin troppo ingombranti.

Si rimane al BART per Jessy Lanza, canadese, che si muove su territori affini alla collega, ma con più eclettismo e raffinatezza. Richiama spesso alla mente New Order e Depeche Mode, per poi lanciarsi su numeri chill-out enfatizzati dal timbro sensuale e al contempo glaciale della sua voce. Colpiscono le reminiscenze che giusto qualche anno fa si sarebbero definite “ipnagogiche” (name-dropping: Annie Lennox, Kim Carnes…), che però non risultano mai banali o scolastiche. E quando nella seconda parte del set fa reagire la sensualità della sua voce con i ritmi house delle origini, la sala si infiamma: è la parte più efficace del set. Nostalgie ballabili aggiornate al 2016.

Il ballo e il club sono la parola d’ordine di stasera, e piatto forte sono i Suuns, molto attesi in questa sala Apolo gremita, e siamo ormai alle due di notte. Eclettici come solo i canadesi sanno essere, provenienti dalla Montreal dei Godspeed You! Black Emperor, e sotto Secretly Canadian, forniscono al pubblico ormai bello carico di alcol e quant’altro quello di cui ha fame: lo scatenamento e la catarsi. E lo fanno con un art-punk fradicio, appiccicoso e danzereccio, sporco di psichedelica e di autismi kraut, tra Rapture, Maserati, e i Radiohead più avanguardisti, ma immerso in un brodo primordiale fatto di Velvet Underground e droghe sintetiche. Niente di inedito, ma davvero selvaggio, pericoloso, convincente e sexy.

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2 Giugno 2016

Primo giorno del Primavera Sound al Forum, il contesto del porto è sempre fantastico, e sulle prime disorientante, nonostante tu ci sia già stato alte volte. Ci si mette qualche ora a orientarsi tra i vari palchi e a capirne il disegno segreto: hai sempre l’impressione che esista un percorso perfetto, che ti permetta di destreggiarti tra scalette che si sovrappongono senza perderti mai niente di significativo, quando invece poi scopri che il senso ultimo è farti trascinare dalle voglie del momento. Un fatto che comunque mi è chiaro fin da subito è che quest’anno dominano: le donne che fanno elettronica, i pad di batteria sintetici mescolati ai pezzi del kit acustici e suonati dallo stesso batterista, e last but not least gli zainetti “floppy bag” tipo quelli che si usavano una volta per metterci le scarpe della palestra. Ecco, quelli. E infatti lo sponsor ufficiale che quest’anno ha realizzato lo zaino del kit (H&M), ha pensato bene di allinearsi alla tendenza, e di “donarci” degli zainetti floppanti da barca in tela che sbattono contro il culo, con tutto buttato dentro alla rinfusa e due cordicelle a mo’ di spallacci a tagliarci il busto. Anche il resto del VIP pack non appare curato come due anni fa, troppa folla nelle aree riservate, pit sotto palco spesso inzeppati al limite della capienza e non riservati, scomparsi i free drink (che vabbé davano cinque minuti di felicità, ma era un gesto carino) e altri dettagli un po’ frustranti, come per esempio la fila iniziale di mezz’ora per ricevere il biglietto del secret show di Peaches, biglietto che termina appena prima che possa raggiungere il banco informazioni. Intanto sul Firestone Stage, un palchetto sponsorizzato pieno di pneumatici indovinate di che brand, prendono posto i Beach Slang, un quartetto molto classico voce, due chitarre, basso e batteria, da Philadelphia che richiama apertamente lo stile dell’indie rock americano di fine anni Ottanta, tra Hüsker Dü, Replacements delle origini, e cose del genere, se vi erano piaciuti i Cloud Nothings vi piaceranno anche loro.

E visto che si parlava di donne, elettronica, e pad di batteria segnalo subito un’artista israeliana, Noga Erez, che ha suonato con il sole ancora alto su un palco minore (Night Pro): vestita in stile fluo-romantico a là FKA twigs o Grimes, e con l’eyeliner da uccello tropicale, sciorina le sue doti da polistrumentista e producer di elettronica, suonando un po’ di tutto, dalle percussioni alle tastiere, ai loop, coadiuvata sul palco da solo un altro musicista, e cantando in maniera davvero convincente. Pochi suoni stile electro primitiva, che fanno di necessità virtù grazie ad una produzione solida e intelligente, che non so perché in certi frangenti mi ha ricordato alcuni episodi del Thom Yorke solista.

Una bella scottatura poi ascoltando gli Algiers, primo gruppo “di peso” della giornata a suonare sulla spianata dell’Heineken Stage, che sotto il sole si infiamma, e dato che i quattro vengono dalla Georgia non ci sta poi nemmeno male. In realtà da loro mi aspettavo qualcosa di più. Vero è che il cantato-gospel di Franklin James Fisher, intensissimo in certi momenti, è davvero un elemento originale appaiato al suono post-punk oscuro espresso dalla band, ma forse non basta a non far calare l’attenzione di un pubblico ancora da scaldare a dovere. Il momento cruciale dello show si è verificato durante “Blood”, quando i quattro hanno portato l’intero pubblico a un handclapping indignato, un canto di lavoro e schiavitù aggiornato all’oggi.

Evitiamo gli Suede per andarci a ritemprare di fronte a uno dei palchi più godibili e sinceri del festival, per dimensioni e proposte, il Primavera Stage, dove sta prendendo posto BEAK>, progetto parallelo di Geoff Barrow dei Portishead, che delizia il pubblico con l’ausilio di due ottimi musicisti, spaziando inaspettatamente tra post, kraut e soprattutto progressive, in un miscuglio riuscitissimo che fa anche ballare e che nulla concede alla teatralità del rock, ma solo alla sostanza. Uno dei concerti migliori ai quali abbia assistito oggi.

Ormai è sera, e il festival raggiunge il suo apice emotivo con l’esibizione degli Explosions In the Sky sul gigantesco Heineken Stage. Due cose vanno dette: è splendido per noi e per loro che una band post-rock strumentale di questa caratura suoni di fronte a una platea così vasta, perché il pubblico si estende davvero a perdita d’occhio, e il suono di un palco del genere è un vero orgasmo uditivo per chi ama i crescendo, le armonizzazioni, i cambi, le inversioni e gli assalti di una band che è una vera e propria orchestra sinfonica del rock. Il tutto è impreziosito da una regia dei visual in pieno stato di grazia, che manda sugli schermi in diretta un vero e proprio film d’autore sul post-rock, che riprende in diretta e amplifica i movimenti e le inflessioni di questa specie di creatura gigantesca, che sposta montagne, e ondate oceaniche, con la grazia di un animale preistorico. Un’ora di pace sulla terra, di una bellezza commovente, da parte di una band che si rende conto dell’importanza di questo live e che riversa sul pubblico tutto quello che può con una generosità e una partecipazione che arriva a tutti.

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Protomartyr

Due immagini su tutte: un ragazzo del pubblico che rapito da quello che sta succedendo all’apice di uno dei suoi brani preferiti bacia entrambe le sue amiche e poi si lancia in una sorta di ballo estatico proiettando i pugni e le mani alternativamente a ritmo contro il cielo, e vince tutto, perché coglie che questo concerto ti culla da adulto e ti dice di non aver paura. La seconda immagine è l’incedere di Munaf Rayani, che tiene il tempo della sua chitarra e della sua band letteralmente incedendo sul palco, come se avesse dei cingoli di ghisa al posto dei piedi, e mentre la musica ti inonda di grazia sembra dirti, eccoci, stiamo avanzando, avanzando, ancora qualche metro e libereremo il tuo mondo. Il dubbio che resta di fronte a questo spettacolo è semmai da rivolgere al pubblico, perché alcuni non riescono a tenere la bocca chiusa (o a non spararsi selfie) nemmeno di fronte a un certo stupore e a una certa meraviglia. Disintegration Anxiety è una mina a più velocità dritta nel cuore. Dopo questo si potrebbe anche tornare a casa e vivere in pace. Altri piatti forti della serata sono LCD Soundsystem che sì, sono uno spettacolo, divertenti, ballabili, intelligenti, e precisi, e che suonano di fronte praticamente a TUTTI. Carpenter, che diserto per andare a vedere i Protomartyr, che dal vivo mostrano una natura veramente post-punk, ruvida, diretta, e persino scarna, che spiazza e anche affascina, enfatizzando la personalità del cantante: una specie di David Yow o Jello Biafra in giacca nera, sigaretta alla mano e viso corrucciato, che sembra essere salito sul palco a sputare testi nel microfono appena dopo aver seppellito il suo ultimo nemico nel parcheggio del suo ufficio di assicurazioni auto di Detroit.