Primavera Sound 2014, il paradiso a Barcellona

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28 maggio 2014

L’antipasto del Primavera è sotto la pioggia. Ci passano sopra gli Holy Ghost! synth pop radicale da far ballare, cappucci di felpe, ombrelli, gente che si gode i bassi. Dopo una Sky Ferreira deprimente. La parte preconcerto della giornata dedicata a Gaudì: La Sagrada Família e La Pedrera. Edifici gotico-biologici. Gaudì è morto sotto un tram. Amen.

Cibo: casadetapas.com

29 maggio 2014

Julian Cope: l’uomo che ha spiegato al mondo il punto esatto dove il punk incontra la psichedelia, il prog e l’arte megalitica. Ovvio che abbia sense of humour. Si presenta con un’acustica glitterata, sfodera con quella, la voce (e basta) il sue ethos punk. Cunts Can Fuck Off: giusto. Anche qualcosa dei Teardrop Explodes. Termina con un Viva Catalunya. Sa di trovarsi davanti a un popolo combattivo. 10 (anche solo per un paragrafo a caso di Krautrocksampler )

Real Estate: Indie Pop. Prevedibili e noiosi come il concetto di Indie Pop. 4

Midlake: psychedelic rock con radici Tex-arcane. Nel senso dei R.E.M. Resistono contro tutti gli odds e sono piacevoli anche senza. Peccato che quando parte Rosco è chiaro a tutti che manca una vera scrittura e grandi melodie senza tempo. Aridatece Rosco. 7

Warpaint: Eyeliner al femminile. Suoni darkwave e vai sicuro. Pure troppo. Bassi a cannone. Pure troppo. Voci eteree. Pure troppo. 6 (è pure troppo, il pubblico apprezza  e ballicchia scoglionato. Forse sono io che non )

Neutral Milk Hotel: Ogni hipster sapeva che questo era Il concerto-da-esserci-per-forza. Per cui ci si accompagnava con amici e parenti prossimi e all’ATP Stage si stava strettini. Però inizia con The King of Carrot Flowers Pt. One e finisce con Two-Headed Boy Pt. Two. Che volete di più? Scombiccherati, festanti e con tutti gli strumentini del caso, sega compresa. Se la Merge Records è anche casa degli Arcade Fire c’è un motivo. 8

 

Arcade Fire: Afterlife, la vita, dopo. Concerto strepitoso. Nel 2014 hanno la varietà di stili e la quantità di brani splendidi per fare la differenza in un grande show da arena. Ma restano intelligenti. E anche quando “fanno teatro” sono sensati e significativi. Come quando Regine fronteggia da una pedana rialzata tra il pubblico il compagno Win, come un’apparizione fluorescente sul “dialogo” di It’s Never Over (Oh Orpheus). Dimostrano con una scaletta perfetta come i brani del loro repertorio si integrino bene per suoni e atmosfere con la nuova produzione. Due batterie, una ricca dose di percussioni afro, Owen Pallett che sale sul palco al sesto pezzo per restarci. Wake Up che termina uno show inattaccabile. 9

Cibo: 4gats.com

Qualsiasi cosa trovi al Primavera.

30 maggio 2014

John Grant dev’essere una persona deliziosa. Nato in America, vive a Reykjavík. E si vede: da come sorride gentile di gratitudine mentre getta più di uno sguardo a chi lo applaude sotto una pioggia torrenziale iniziata esatta sulla prima nota. Pubblico con testi a memoria e ombrello, cappuccio, o solo i testi in testa. “I’m sorry for the rain, temo es mi culpa”. Fa niente, John. Anche perché ci dedica GMF: But I am the greatest motherfucker/ That you’re ever gonna meet/ From the top of my head/Down to the tips of the toes on my feet” perché siamo noi i “peggio figli” a prenderci catinate d’acqua senza battere ciglio, lo dice lui. Glacier è una canzone per tutti quelli che pagano la propria unicità con le leggi del branco. Ritornello da patrimonio dell’unesco:

 

This pain

It is a glacier moving through you

And carving out deep valleys

And creating spectacular landscapes

And nourishing the ground

With precious minerals and other stuff

So, don’t you become paralyzed with fear

When things seem particularly rough

Voce 8, brani 9, empatia col pubblico 9. La media è 9? Quando smette, manco a farlo apposta, spunta il sole con un doppio arcobaleno. Come da foto.

Haim: le tre sorelle un po’ allusive della porta accanto: “mi fa piacere non piova più, ma se piove Fuck it, I just wanna get wet”. Però brave, va detto. Patatas bravas, suonano sul serio, cantano, picchiano duro (ci tengono a dirlo) e tengono il palco che è un piacere. Il repertorio diventa più rock “da stadio” e prevedibile rispetto al disco. Resta il fascino di brani che ti ricordano la cassetta di Whitney Houston e di un Jackson dei vari mentre andavi al mare da piccolo, e la musica era quella lì. Ben suonati e ben presentati dal palco. Se non fossero tre sorelle col fascino della felpa portata a mo’ di vestitone e comportamenti oziosamente sensuali sarebbero un tantino pleonastiche. E però si dà il caso che siano tre sorelle oziosamente sensuali e talentuose. E che nel mondo della musica non esista il concetto di “se non fosse”. Divertenti, piacevoli e con riferimenti musicali puntuali qb. Voto 7,1/2

 

Slowdive: mi resterà impresso il sorriso composto e un po’ imbarazzato della modesta quanto naturalmente elegante Rachel Goswell che non riesce a contenere il rumoroso entusiasmo delle prime file. Per molti momento della vita. Qualche occhio lucido, scapoccini, scatenate dichiarazioni di appartenenza a un mondo indipendente inglese che è bruciato veloce infrangendosi su Radiohead da un lato e britpop dall’altro o implodendo per propria virtù. Zero prosopepea. Eleganza. Stile. Misura. Precisione. E soprattutto suonano come non ci fosse domani. Il voto mettetecelo voi.

Slint: mentre Pixies cartellano come fabbri il pubblico dell’Heineken stage, me ne vado in zone più umbratili e radicali a vedere gli Slint. L’ATP stage ha proprio questa natura. E per loro è perfetto. La gente è in giusta quantità (per via dei Pixies). Loro tritano rabbia, veleno e dolcezza con un suono chitarristico da farsi le pippe. Per me la corona della serata. Guardare la tua vita da fuori la porta mentre dentro c’è il tuo peggior nemico. Slint. E ora sommate il voto a tutti i math-, post-, slo- qualcosa che vi piacciono. 9

The National: non li ho visti se non per due terzi. Mi dicono di un Matt Berninger appannatissimo e già ubriaco a inizio concerto. Ma in fondo va bene così: i The National senza fragilità e precisi come i Dream Theater sarebbero un incubo da quarto reich. Matt dimenticava testi e fermava canzoni. Poi si ripiglia, entra nel concetto di “devo suonare” e tutto fila liscio. Eccovi la scaletta: http://www.setlist.fm/setlist/the-national/2014/parc-del-forum-barcelona-spain-73c0e689.html

 

Arrivo su Slow Show e scopro che sul palco c’è anche Justin Vernon che domani suonerà coi Volcano Choir. Su Graceless Matt Berninger si fa la sua solita passeggiatina tra il pubblico. Ripete ma con molta più enfasi a rotta di collo su Mr. November, mentre sul palco gli ospiti newyorkesi The Walkmen (i quali avevano condiviso il loro primo tour canadese) hanno la faccia della Merkel quando Berlusconi stava al cellulare. Ospiti che lasci in salotto mentre te ne vai a limonare duro sul pavimento del bagno. Scusate eh, avevo da fare. La manfrina è ormai ripetuta e attesa. E però dà sempre l’impressione di essere vera, sacrificale e un tantino disperata. Per dire, Matt se ne torna con un coccodrillo gonfiabile tra le mani, sgonfio. Da segnalare una Fake Empire piuttosto bella, una England da brividi. Chiude Terrible Love. 8.

Cibo: ogni tipo di junk food che vi venga in mente. C’è.

Segnalo in apertura di giornata i rumorosi ed enfatici Leon Benavente, una sorta di gruppo nato quasi per scherzo dall’unione di alcuni membri dei gruppi iberici più stimati della scena alternativa, come Nacho Vegas. Sono Afterhours meets IL Teatro degli Orrori meets White Lies (provateci), in Spagnolo. Boom.

P.s.

Mentre scrivo queste righe apprendo con mestizia che il concerto dei The Pizza Underground (la band tributo dei Velvet Underground con la parola pizza infilata in ogni brano) in cui milita Macaulay Culkin è stato annullato. Hanno perso l’aereo.(Non è vero ma ci stava)

31 maggio 2014

Ultimo giorno. Oggi guardando l’area cibarie del primavera ho pensato che l’apocalisse avrà luoghi così, un enorme spazio pieno di panche stile octoberfest sotto tettoie di cemento dove stipare la gente per farla mangiare hamburger, hummus e cibo tex-mex. Peraltro oggi è sabato e ora che sto scrivendo la gente balla qualsiasi cosa con in testa qualsiasi altra. Tipo davanti a me ho un tipo con un cappello da guardia a cavallo canadese che balla i Cut Copy. Siccome domani cominceranno tutti a tirare le somme due persone diverse per età, provenienza e storie mi hanno detto due cose. Uno ha sette edizioni di Primavera alle spalle e mi diceva che le due passate edizioni erano state più interessanti. Probabile. Ma in fondo conoscendolo avrebbe anche aggiunto che si è divertito, commosso, arricchito, sporcato anche in questa 2014. E che ci tornerà ancora per cogliere stimoli e suggestioni. L’altra, un ragazzo impasticcato nato da queste parti, se la prendeva con questi fenomeni del pubblico troppo acchittati. Saranno le pasticche. Io credo che il partito degli smandrappi  abbia comunque la maggioranza. Smandrappi per sopravvivenza, che è un boot camp dal punto di vista fisico. Perché Barcellona è fredda di notte e calda di giorno. Se poi piove hai vinto. E poi sti gran cazzi. Vale tutto. Vestitevi come vi pare e andate dove volete. Parlando di musica, sarò breve. Islands, hanno dalla loro il fascino un po’ weird di Montreal, un sentore di lieve psichedelia sixties, e il guardaroba intero di una gita in yacht. Television, quale onore, che rifanno Marquee Moon a 37 anni di distanza, e loro sono invecchiati mentre il disco no.

 

Volcano Choir, ovvero Justin Vernon, Bon Iver, in versione post-rock col chitarrista attempato a cui non pare vero di aver svoltato grazie a Justin che continua a ringraziare tutti e ama il mondo nella sua interezza. Potendo si limonerebbe anche il fonico.

 

I Pizza Underground che prima devono suonare e poi non suonano più, i Buzzcocks, qualcuno li ha visti. I CLOUD NOTHINGS che da domani eroi nazionali. Il perché è presto detto: sono giovani qb, suonano incazzati come delle madonne e pure bene, hanno fatto un disco nel 2012 con Steve Albini ai comandi, e soprattutto questa sera hanno spacchettato tutto, spazzando via in un attimo tutto l’indie pop raffinatino che hai dovuto ingollare.” Io c’avevo il sorrisone”. Miglior concerto della serata senza dubbio. Gambe e braccia che surfavano il pubblico, il Vice stage mai così pieno di gente. Ora basta che a parlare troppo delle cose belle le si rovina, tipo che domani suonano al Circolo degli Artisti di Roma.

 

NIN che ve li devo raccontare? Foals, Troppo intelligenti per farti ballare sul serio, troppo paraculi per darti grattacapi, alla fine ti catapultano in quella terra di nessuno in cui ballicchi col cellulare in mano. Anche quando si arrabbiano e provano a fare i RATM lo fanno comunque con un minimo di calcolo. Secchioni. Però piacciono tanto. Sarò stanco. E con le guardie canadesi a cavallo che ballano, e i Cut Copy dall’ATP stage che cutcopiano, io passo-e-chiudo.