Northside Festival 2016

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Anche quest’anno abbiamo deciso di sorvolare i cieli europei e raggiungere la Danimarca, Aarhus per la precisione, per vivere nuovamente un’esperienza accogliente ed eco sostenibile, racchiusa all’interno di quell’isola musicale che va sotto il nome di Northside Festival. Già l’anno scorso vi avevamo parlato del festival, fornendovi anche una guida ampia e completa sull’intero universo Northside.

La formula dell’edizione 2016 rimane la stessa, con un’attenzione sempre particolare all’aspetto “Green”. Al festival abbiamo incontrato gente di ogni età, bambini compresi. Abbiamo visto graffiti e installazioni luminose. Abbiamo mangiato cibi e bevuto bevande di ogni genere, trovato fuoco acceso per riscaldarci, reggiseni e calosce a decorare in maniera originale gli spazi vuoti dell’area, oltre ovviamente a un’ampia gamma di suoni e generi musicali – molto più variegata rispetto a quella del 2015.

17 Giugno

Una prima giornata all’insegna di sonorità incendiarie e viscerali con sciabolate che partono dalla terra per poi attraversare il corpo ed esplodere nelle orecchie. Si parte però con delicatezza, precisamente dall’anima Soul, poetica ed emozionale, del giovane cantautore e producer danese Alex Vargas, per poi spostarsi verso le incursioni Indie-Pop patinate – e non sempre convincenti – dei Temper Trap.

L’atmosfera si scalda definitivamente con l’entrata in scena dei Refused, che generano sullo stage una miscela di energia, tuoni hardcore e saette punk. Dennis Lyxzén è un angelo biondo dallo spirito luciferino, uno che mangia letteralmente il palco, e le anime dei presenti, con le sue urla di rivolta, dimenandosi come un serpente in mezzo al pubblico. Ed ecco scorrere: Elektra, Shape of Punk to Come, Rather Be Dead, Dawkins Christ, The Deadly Rhythm, Destroy the Man, Coup d’état, Refused Are Fucking Dead, Servants of Death, Worms of the Senses / Faculties of the Skull e New Noise.

I Refused esprimono da sempre e con forza la loro vena anticapitalista e rivoluzionaria. Anche in questa occasione Lyxzén, prima della fine del concerto, ci tiene a sottolineare la propria versione dei fatti in favore di un mondo scremato dalla violenza, senza l’oppressione del patriarcato e con un maggiore occhio di riguardo nei confronti delle donne e delle loro qualità anche dal punto di vista musicale.

Il Green Stage si riempie di fenicotteri rosa, mentre una riproduzione dell’animale posto in copertina dell’ultimo Gore campeggia sulla cassa di un amplificatore e anche i gabbiani volano alti nel cielo di Aarhus. Salgono così sul palco i Deftones fra le urla del pubblico in visibilio. I nostri propongono fin da subito il loro linguaggio fatto di note piene e pulite, alternando momenti di finta quiete a vortici di tempeste sonore. Attraverso muri intricati di suoni, la potenza vocale di Chino Moreno viene affiancata dai contro cori di Sergio Vega, lasciando che tutto si muova tra attimi presenti e tuffi nel passato del gruppo.

Un percorso riassuntivo che parte da Rocket Skates per poi proseguire con My Own Summer (Shove It), Be Quiet and Drive (Far Away), Swerve City, Rosemary, Diamond Eyes, You’ve Seen the Butcher, Prayers/Triangles, Digital Bath, Knife Prty, Change (In the House of Flies),What Happened to You?, Around the Fur, Rickets e Headup. Nel bis arrivano anche le tanto attese Bored ed Engine No. 9.

Ci si sposta poi verso il P6 Beat, pronti a ballare sull’elettronica dei Digitalism. Il duo, composto da Jens “Jence” Moelle e İsmail “Isi” Tüfekçi, mescola sul palco la fruibilità della musica da ballo alle opache e vaghe allucinazioni di un’elettronica più ricercata, colpendo nel segno. È poi la volta dell’iguana Iggy Pop che, rigorosamente a torso nudo per tutta la durata del concerto – tanto che verso la fine il nostro inizia ad avere decisamente freddo facendosi lanciare una felpa dal pubblico – si muove come fosse posseduto per tutta la superficie del Green Stage. La forma fisica lascia un po’ a desiderare, l’età avanza anche per lui in fondo, ma la presenza scenica rimane sempre invidiabile. I brani della scaletta variano dai suoi pezzi storici, per toccare alcuni singoli dell’ultimo album Post Pop Depression, all’interno di una macchina del tempo che lambisce: No Fun, I Wanna Be Your Dog, The Passenger, Lust for Life, Five Foot One, Sixteen, Skull Ring, 1969, Sister Midnight, Real Wild Child (Wild One), Nightclubbing, Some Weird Sin, Mass Production, Repo Man, Sunday, Break Into Your Heart, Gardenia, Neighborhood Threat, Search and Destroy, Down on the Street, I Need Somebody, Wild America.

Una coltre di fumo accompagna la fine della prima giornata del festival assieme alla performance dei The Chemical Brothers che, dopo un iniziale problema tecnico che manda letteralmente in blackout l’interno impianto sonoro e visivo, fanno muovere in maniera ossessiva tutti i presenti a ritmo di Hey Boy Hey Girl e Do It Again. Uno spettacolo, il loro, sempre unico e interattivo, composto di suoni e luci che prendono vita, di visual animati che sembrano fuoriuscire dallo schermo pronti a fagocitarti nel loro flusso d’immagini. I bit così pulsano insieme al corpo e i bassi s’impossessano dei presenti.

18 Giugno

Tra “giacche” bluesy e “cappelli” country, è l’alt rock dei Wilco di Jeff Tweedy ad aprire la nostra seconda giornata del Northside Festival, deliziando i presenti con ballate sempre incisive e penetranti. Alternando paesaggi acustici a lande elettriche scorrono così: EKG, More…, Random Name Generator, I Am Trying to Break Your Heart, Art of Almost, Pickled Ginger, Hummingbird, Handshake Drugs, Cold Slope, King of You, Via Chicago, Heavy Metal Drummer, I’m the Man Who Loves You, Impossible Germany e The Late Greats.

Il Blue Stage diventa invece lo scenario per un duello di wrestling dal sapore messicano, con lotte tra luchadores e galline meccaniche, lingue lunghe e gag a metà strada tra l’ironico e il sensuale. È questo il circo visivo messo in scena dai Puscifer, side-project di Maynard James Keenan, per uno dei concerti più d’impatto a livello scenografico dell’intero festival. Un viaggio melodico a metà strada tra leggerezza formale, suoni pungenti, echi tooliani e l’incontro/scontro delle voci di Carina Round e dello stesso Maynard. Dopo le incursioni lo-fi degli Unknown Mortal Orchestra è la volta della luce e delle stelle visive e sonore dei Sigur Rós. Le atmosfere che la band fa rivivere sul palco sono eteree e sognanti. Sono lunghe visioni oniriche, spesso infrante dal vociare del pubblico che a più riprese rompe la magia dell’intero live. Rimane comunque un concerto per chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dal sogno generato dai suoni. Infine ci si lascia ammantare dal Dream-Pop delicato di Victoria Legrand e Alex Scally e dei loro Beach House.

19 Giugno

L’ R&B/Soul dei danesi Phlake sul P6 Beat e il loro brindisi sul palco dà il via all’ultima giornata del Northside Festival – seguiti dalla performance di Damien Rice sul Green Stage, che culla il suo pubblico con ballad folk romantiche e intimiste. Il cantautore irlandese suona numerosi strumenti, rivelandosi un ottimo artista capace anche di variare all’occorrenza il suo sound inserendo piccoli picchi di elettricità ritmica. Nella setlist non manca ovviamente il brano The Blower’s Daughter.

Una delle rivelazioni di questo festival sono senz’altro le Velvet Volume, trio di sorelle danesi tutto al femminile. Sul palco si rivelano come una miscela deflagrante d’urgenza espressiva che mescola il punk al grunge – da tenere d’occhio.

La tiepida esibizione di Jake Bugg e quella altrettanto poco convincente dei Block Party cede il passo al djing da club di Flume che fa scatenare il pubblico. Ancora elettronica, quella che si mescola all’avant-pop con Daniel Snaith aka Caribou. Sul palco si presenta vestito di bianco, mentre dietro di lui appare l’immagine dell’album Our LoveCaribou assieme alla sua band, tra batteria e pad controller, muove il sound tra climax ritmici mai eccessivi e lunghe suite di relax sonoro pronte a sfociare in flussi di techno minimalista.

Il Green Stage si prepara poi ad accogliere i Duran Duran, lanciandoci immediatamente negli Eighties. Il vecchio volge verso il nuovo e tra Hit Pop e nuovi brani si avvicendano: Paper Gods, The Wild Boys, Hungry Like the Wolf, A View to a Kill, Come Undone, Last Night in the City,Notorious, Pressure Off, Ordinary World, I Don’t Want Your Love, Girls on Film, The Reflex e Rio. Spazio anche per le cover di David Bowie: Space Oddity e Let’s dance.

È infine un Beck in gran forma a chiudere l’edizione 2016 del Northside Festival. Il cantautore statunitense interagisce a più riprese con gli spettatori e a un certo punto, suonando una sorta di maracas a forma di banana mentre questi ultimi cantano in coro il “nananana” sul finale di E-Pro, esclama: “You Wanna Make Me Shake My Banana All Night”. L’ilarità dei presenti è assicurata. In setilst anche Devil’s Haircut / Where It’s At, Dreams, Where, Blue Moon e Loser con il ritornello cantato all’unisono dal pubblico.

Ancora una volta il Northside Festival ci ha sorpresi, deliziati e incantati. Ancora una volta ci siamo lasciati trasportare dalla sua proposta musicale, persi nel desiderio di pace e di libertà che solo la musica live sa donare, aspettando un tramonto che in una città come Aarhus sembra non arrivare mai.