10 Album per la fine del 2016

In attesa della nostra top di fine anno, ecco gli ultimi dischi degni di segnalazione inerenti al mese di Novembre.
Siamo carichi, è stato un anno intenso.

Alessandro Fiori – Plancton: Giacca [?] Occhi Chiusi [?]
Il terzo mondo, il sesto mondo (“Mangia!“), perché nel punto più basso della materia può succedere di tutto: le mille stringhe, nel sottosopra, dettano legge. Se “Il Senso” ci parlasse chiaro fin da subito, come sarebbe? “Ciao sono il Senso, come va? mi hai capito?” – “Sì” – “A posto”. Ma nell’infinitamente variabile ogni senso è previsto e ognuno potrà trovarvi quello che gli pare. Comprese strambe preghiere, forse le sole che ci restano, le sommesse del canto con pudore, tra il vuoto e la comunione. Ed è in queste geometrie anteriori a ogni pensiero che nasce Plancton: un disco indefinibile e meraviglioso, che trascina negli anfratti più oscuri, che porta il segno della dolce arrendevolezza dell’acqua. E se risuona così bene, dentro e fuori, è perché noi siamo fatti per il 70% per cento di quella cosa lì: lo dice il libro di scienze delle medie. [Continua]

devils-sin-you-sinnersThe Devils – Sin, You Sinners!: Nichilista [?]
I The Devils amano quell’irresistibile estetica maledetta propria dei più grandi perdenti di successo della storia del Rock’n’Roll – della serie: poche note ma aggressive. E così ecco nascere una splendida collezione di gemme grezze debitrici tanto della storia (Magic Sam) quanto dell’odierno divenire. Parliamo di roba che ricorda il periodo d’oro della In The Red (altra etichetta fantastica), di Cheater Slicks (“Coitus Interruptus From A Priest“) e Oblivians (“Misery“). Siamo dalle parti dei Cramps (al cardiopalma, “Sin, You Sinners“) e di tutta quella roba capace di mandare in brodo di giuggiole l’appassionato di genere. Poi è gente che crede ossessivamente in quello che fa. Adorateli. [Continua]

The Pretenders – Alone: Barba [?]
L’impressione rimane sempre quella che si prova ascoltando un disco dei Pretenders; e cioè che si tratti di una produzione senza tempo, così semplice e vecchio stile ma altrettanto complessa da inquadrare. “Alone“, come un po’ tutti i suoi precedenti affonda nelle radici della musica del novecento e si abbevera costantemente di quel nutrimento. D’altronde la cifra stilistica della Hynde beneficia da sempre anche di una potentissima dimensione live che, siamo certi, verrà implementata da quest’album.Una presenza scenica, quella della frontgirl capace di ipnotizzare lo spettatore, il quale a sua volta prova piacere nel farsi graffiare e leccare le ferite da una delle pochissime artiste che ancora nel 2016 può davvero fregiarsi del titolo di sacerdotessa del rock. [Continua]

Crocodiles – Dreamless: Spilletta [?]
Ecco, Dreamless pare dirci che quella era solo un’interpretazione approssimativa della forma che il duo andava assumendo. Il nuovo disco usa la melodia, questo è sicuro, ma lo fa nell’acquisizione di un approccio  più dinamico, con il basso che gira più in tondo. Il Noise Pop di Welchez e Rowell ha oggi un’andatura meno rettilinea, con le strofe che si sovrappongono e quelle chitarre che stanno in ogni buon disco con sopra l’etichetta “Wave”. Un bell’impasto, forse approdo naturale ma anche un po’ inatteso, come si diceva. Prima di perdere sensibilmente mordente nella seconda parte, il disco sfodera una serie di colpi mirati bene. [Continua]

Meshuggah –The Violent Sleep Of Reason: Truce [?]
Rabbia controllata, claustrofobia organizzata e ritmiche incessanti: “The Violent Sleep Of Reason” ci riporta in quel non-luogo della mente in cui ad occhi sbarrati si attende un cataclisma bestiale, apocalittico, figlio di un futuro incerto e perfettamente calcolato. Pensiamo all’opener “Clockworks“, in cui la batteria di Tomas Hakke e il basso di Dick Lövgrenricamano intricatissime partiture “free” su un tessuto chitarristico sincopante – Fredrik Thordendal e Mårten Hagström –, in un continuo di sorpassi, implosioni ed esplosioni. E bissiamo con “Born in dissonance“: un gigantico blocco di cemento e metallo dalle proporzioni smisurate che penzola nel vuoto mentre il growl di Jens Kidman lo scalfisce inesorabilmente. [Continua]

Black Marble – It’s Immaterial: Sinapsi [?]
Un intro di noise analogico e il basso di Iron Lung si presenta schietto a sorreggere una voce immateriale, vaporosa, che senti spegnersi e continuare a fumare prima di infrangersi contro una parete sporca. In sottofondo batterie elettroniche e qualche tocco di tastiera a seguire la linea melodica. Il progetto di Chris Stewart, oggi al secondo album, si delinea quindi come un nuovo capitalo in quella saga post-punk eterea, che sa fino al midollo di Joy Division in versione lo-fi anni duemila. Poco più di mezzora e tanta materia oscura a infrangersi nel bel mezzo di bassi schietti.Woods, quarta traccia del disco, si avvicina di più a certi colori cupi ma comunque scheletricamente movimentati come O Children o Chapel Club oppure come qualcosa di molto vicino ai The Drums[Continua]

Solange – A Seat At The Table: Robinson [?]
Il terzo album di Solange – annunciato appena tre giorni prima della sua pubblicazione – è quindi il resoconto dialettico di un percorso personale che ha visto succedersi persone, eventi e sentimenti. Una personalità storicamente indebolita, da un lato; dall’altro, la voglia di essere unici e forti. Nelle parole della stessa autrice, ci troviamo ad ascoltare a project on identity, empowerment, independence, grief and healing. Ricordiamo che dal 2008 Solange non pubblicava un LP: questo a significare che il percorso è stato lungo, sebbene questa strada e questi anni, nelle parole di una canzone, durino appena cinque versi, contornati da un basso leggermente funky. [Continua]

Moby And The V.P.C – These Systems Are Failing: Eyeliner [?] Avatar [?]
Che Richard Melville Hall possegga un’anima anti capitalista è cosa nota – per capirlo vi basterà dare uno sguardo ai suoi profili social. Le invettive contro la società moderna, contro l’individualismo, verso la sostenibilità sociale ed economica, contro il dispotismo americano e le multinazionali sono solo alcune delle battaglie che il nostro in veste di Moby ha promosso negli ultimi tempi. Sviluppi che inevitabilmente si sono ripercossi anche nella sua musica; oggi più ruvida, aspra, con inserti Wave e Post-Punk. Uno dei figli della Techno degli eighties, prende oggi le distanze dai suoi dischi più meditativi per raccontarci il suo punto di vista sulla società moderna, così distopica ma più che mai reale. [Continua]

Glitter WizardGlitter Wizard – Hollow Tour: Dispari [?]
All’interno di un incantesimo composto da armonie diversificate, confluiscono così forme Progressive e attitudine Punk, ferro incandescente ed echi cosmici. Rumore e melodia si alternano in un magma di suoni che giace su un tramonto Sixties/Seventies. I brani eruttano come zampilli roventi, tra riff corrosivi, synth ora frizzanti ora spaziali, e anime che sgorgano come onde lontane su atmosfere mistiche (“Smokey God”). C’è inoltre il groove incisivo e crudele di “The Hunter” e ci sono le allucinazioni nere e metalliche di “Scales”. Arriva poi l’apocalisse psichedelica, con “Stoned Odyssey”, “Fungal Vision” e “UFOLSD”, e tutto infine svanisce tra spiriti acustici dall’animo orientale (Sightseeing With Admirad Byrd) e marce epiche (Death Of Atlantis). [Continua]

Jimmy Eat World –Integrity Blues: Sorcino [?]
Integrity Blues” si presenta come uno degli album migliori della band. C’è l’emotività (“You are Free”), una voce decisa (“Trough”) e la classica chitarra distorta che fa da accompagnamento a tutti gli altri strumenti. La tensione tra strofa e ritornello di “Pretty Grids” entra nello stomaco dell’ascoltatore, come del resto gli anthems da stadio di: “You with Me”, “Sure and Certain”,e “The End is Beautiful”. Proprio “Sure and Certain” potrebbe essere considerato come il manifesto del nuovo sound: chitarra crunch, basso in primo piano, ritornelli corali e un bridgeiniziale importante che spezza il ritmo del brano conferendogli un impatto emotivo notevole. L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da “Pass the Baby”, un brano downtempo pulito, grazie ai riff eterei di chitarra; in controtendenza con il resto delle composizioni. [Continua]